All’inizio fu il latino, il latino, dotto repubblicano, quello di Cesare e Cicerone, ma a partire da Augusto qualcosa mutò. L’imperatore era incline ai volgarismi e la religione cristiana, pane del popolo, incomincia ad agire come irresistibile lievito fino ad arrivare alla caduta dell’impero ed ai primi insediamenti barbarici sul suolo italico.
La lingua parlata si allontana sempre più dalla lingua scritta non seguendo più la struttura grammaticale ortodossa. Per meglio comprendere quello che si verificava all’epoca, riporto l’ iscrizione di un papiro pompeiano: quisquis ama valia Peria qui nosci amare bis peria quisquis amare vota invece del grammaticalmente corretto Quisquis Amat Valeat,permeat qui nescit amare, bis tanti permeat quisquis amare Vetat.
Come si nota iniziano a sparire le declinazioni e le vocali si tramutano la e chiusa di vetat diviene quasi o.Insomma già alla caduta dell’impero Romano, il latino parlato non è più Latino, ma bisognerà attendere altri trecento anni perché si abbia coscienza che altre lingue di origine Romana vanno ad affermarsi. Non solo in Italia, dove l’indovinello Veronese rappresenta la più antica attestazione scritta : se pareba boves,Alba pratalia araba, albo versorio teneba,negro semen seminaba; ma anche in Francia, dove nel concilio di Tours (813) si raccomanda ai preti di tenere le omelie in volgare (rusticam romana linguam). Ma bisogna attendere fino al 960 perché si abbiano i primi testi riconosciuti come italiano antico. Si tratta di quattro brevi testimonianze redatte da un notaio nella forma del latino volgare parlato nell’Italia centro meridionale, circa dei giuramenti sull’appartenenza di beni a dei monasteri nella regione di Monte Cassino I cosiddetti placiti cassinesi.In realtà alla caduta dell’impero, mancando un’unità politica ciascuna regione aveva elaborato un proprio dialetto ed ogni dialetto aveva carattere di lingua e se qualcuno tra essi ha soppiantato gli altri é stato o per motivi strettamente politici, come in Francia, dove la lingua d ‘oil ha soppiantato la lingua d’oc, che andava definendosi come lingua nazionale per meriti letterari, dopo la sconfitta dei conti di Tolosa fu soppiantata dalla lingua del Oil;
I primordi della lingua Italiana sono datati dal 960 al 1225 ed è durante questo periodo che trovano vita le prime opere in volgare italico presso la corte Palermitana di Federico II di Svevia dove ebbe origine la scuola poetica siciliana avendo a tema l’amor cortese ispirato dai trovatori provenzali. Gli interpreti del movimento erano dei funzionari del regno che iniziarono a scrivere poesie condividendo una lingua comune, il Siciliano aulico. Inoltre lo stesso imperatore incoraggiava il nascere di una lingua sovranazionale che potesse essere compresa anche al di la dei confini Siciliani, estendendosi i suoi interessi politici al di là del regno di Sicilia e fino alla Campania, la puglia e la marca trevigiana. Con la caduta degli Svevi nel 1266 anche la scuola poetica siciliana viene meno ed i poeti iniziarono a lavorare su manoscritti toscani piuttosto che Siciliani; La scuola Siciliana ci ha lasciato la metrica del sonetto nella forma metrica ABBA-ABBA/CDC -CDC . Mi son beato del saluto di colei/ la qual vorrei madonna diventasse/ e che niun omo fora di me’amasse/ che io se ciò accadesse ne morrei scriveva il sottoscritto durante l’alba della sua adolescenza quando contava solo l’amor cortese.
E cosi come la poesia Siciliana aveva influenzato il sottoscritto anche eminenti poeti e scrittori toscani ne furono ispirati dando luogo ad un movimento letterario che contribuì a veicolare il toscano volgare ben oltre i confini regionali. Tali autori furono furono Guido Guinizelli, Francesco Petrarca. Dante Alighieri e Boccaccio per la prosa, che a dire il vero ,amava raccontare nelle sue storie piú l’amor terreno che quello cortese.
Sopratutto Dante fu all’origine della rapida fortuna che ebbe il toscano al di fuori dei confini regionali sopratutto grazie alla sua Divina Commedia che ancora oggi nell’immaginario collettivo ci da la raffigurazione dell’Inferno, del Purgatorio e del Paradiso; Inoltre Dante fu uno studioso delle lingue e dei dialetti d’Italia e nella sua opera “De Vulgari eloquentia” scritta peraltro in Latino, Dante divide le lingue romane occidentali in tre gruppi, nella maniera in cui esse dicono si : La lingua del si da sic est (Volgare Italiano), la lingua d’oc da hoc est (volgare occitano) La lingua ‘d oil (franco provenzale) ille est. Inoltre Dante in testa opera riconosce nella lingua del si, 14 lingue locali o dialettali che divide in tre gruppi, dialetti del nord fino alla Romagna, del centro fino al lazo del meridione dalla Campania alla sicilia ma riconosce solo il Toscano come lingua degna di divenire la lingua letteraria comune:
Infatti egli reputa il romano troppo turpe, il Romagnolo troppo effemminato, il veneto troppo duro, il Piemontese e il trentino troppo periferici e il Sardo un’imitazione scimmiesca del Latino Classico; infine il siciliano anche se raffinato, non rispondeva tutte le esigenze del Volgare illustre.
Dunque questo volgare illustre a poco alla volta è divenuto quello della cultura e della letteratura ma il resto d’Italia aveva del male ad accettare la pronuncia toscana con le loro consonanti molle ed aspirate, come se parlassero con un uovo in bocca. Il Toscano quindi lingua di poesia e letteratura, ma anche di atti amministrativi ha conosciuto una notevole stabilità per quasi cinque secoli, qualcosa di impensabile per una lingua parlata, ma questo fu dovuto sopratutto al fatto che il riconoscimento del Toscano si ebbe solo nella forma scritta mentre a livello locale anche i ceti più colti si esprimevano nella loro lingua regionale. A Napoli a corte parlavano in Napoletano, a Roma i nobili locali in Romanesco per non parlare della Nobiltà Siciliana; L avvicinamento fra la lingua scritta e la lingua parlata fu dovuta al lavoro del Manzoni che dopo una prima stesura del romanzo dei promessi sposi, passò del tempo a Firenze per sciacquare i panni in Arno, come egli amava dire, in modo da ripubblicare il suo Romanzo utilizzando dei termini del Toscano parlato. Infatti per fare qualche esempio sostituì’ adesso con ora, ambedue con tutt’e due ,confabulare con chiacchierare, dimandare con domandare ed altro.
Ed il Latino in tutto questo? Nonostante l’Italiano abbia guadagnato terreno, il Latino resta la ligua Ufficiale di Santa Romana chiesa, e dei colti e sino alla fine del 1700, è usato per l’insegnamento universitario, ed è fortemente utilizzato nelle lingue di erudizione storiche ;qualche opera si presenta pure con un testo bilingue (Istoria dell’incendio del Vesuvio, accaduto nel mese di Maggio del 1737 )redatta per ordine di Carlo III di Borbone non solo in volgare ma anche in Latino per poter esse letta anche dai colti che abitavano al di la delle Alpi. Il Latino all’epoca era per i ceti medio alti quello che fu il Francese fra l’ottocento e il Novecento e l’Inglese oggi e veniva usata come lingua di comunicazione tra i dotti europei. Il Toscano era la lingua della borghesia mentre il popolo continuava a parlare il loro dialetto e fece scalpore a Napoli il fatto che , nel 1754, Antonio Genovesi tenesse in Italiano le lezioni della nuova cattedra di Economia civile. Nel frattempo era sorta anche un accademia linguistica, l’accademia della crusca con l’impegno di difendere la purezza della lingua Italiana. Infine é solo nell’800, con Alessandro Manzoni che ci si rende conto che la lingua non è soltanto strumento letterario ma é uno strumento sociale necessario al progresso della popolazione che grazie ai mezzi di divulgazione della parola (radio e televisione) ed all’incremento del tasso di scolarizzazione hanno consentito anche ai ceti più modesti l’accesso all’Italiano anche se in alcune regioni, particolarmente identitarie (Veneto, Campania ,Sicilia°) il dialetto e fortemente utilizzato e addirittura in Campania è fonte di arte grazie all’opera di numerosi autori che si sono serviti della lingua Napoletana per opere teatrali o canzoni note in tutto il mondo.
Alla fine di questa breve chiacchierata oltre a Ricordare Dante Petrarca e Boccaccio per le loro opere a favore dell’Italiano, mi piace anche sottolineare il lavoro di Edoardo De Filippo, Roberto De Simone e Massimo Troise a favore del Napoletano che ha rilevanza di lingua come tanti altri dialetti parlati in Italia.
C’est d’abord le latin, le latin savant républicain, celui de César et de Cicéron, mais à partir d’Auguste, quelque chose change. L’empereur est enclin aux vulgarités et la religion chrétienne, pain du peuple, commence à agir comme un ferment irrésistible jusqu’à la chute de l’empire et les premières installations barbares sur le sol italique.
La langue parlée s’éloigne de plus en plus de la langue écrite, ne suivant plus la structure grammaticale orthodoxe. Pour mieux comprendre ce qui se passait à l’époque, je cite une inscription tirée d’un papyrus pompéien : quisquis ama valia Peria qui nosci amare bis peria quisquis amare Vetat au lieu du grammaticalement correct Quisquis Amat Valeat,permeat qui nescit amare, bis tanti permeat quisquis amare Vetat.
Comme on peut le constater, les déclinaisons commencent à disparaître et les voyelles changent, le e fermé de vetat devenant presque o. En bref, à la chute de l’Empire romain, le latin parlé n’est plus du latin, mais il faudra encore trois cents ans pour que d’autres langues d’origine romaine s’établissent. Non seulement en Italie, où l’énigme véronaise représente la plus ancienne attestation écrite : se pareba boves,Alba pratalia araba, albo versorio teneba,negro semen seminaba ; mais aussi en France, où le concile de Tours (813) recommande aux prêtres de prononcer les homélies en langue vernaculaire (rusticam romana linguam). Mais il faut attendre le 960 pour que les premiers textes soient reconnus comme de l’italien ancien. Il s’agit de quatre courts témoignages rédigés par un notaire en latin vernaculaire parlé dans le centre de l’Italie méridionale, à propos de serments sur la propriété des biens des monastères de la région de Monte Cassino, les “I placiti cassinesi)”. En réalité, à la chute de l’empire, en l’absence d’unité politique, chaque région avait développé son propre dialecte et chaque dialecte avait le caractère d’une langue, et si l’un d’entre eux supplantait les autres, c’était soit pour des raisons strictement politiques, comme en France, où la langue d’oil supplanta la langue d’oc, qui se définissait comme langue nationale en raison de ses mérites littéraires. Mais après la défaite des comtes de Toulouse, elle fut supplantée par la langue du Oil ;
Les débuts de la langue italienne sont datés de 960 à 1225, et c’est à cette époque que les premières œuvres en langue vernaculaire italienne virent le jour à la cour palermitaine de Frédéric II de Souabe, où naquit l’école poétique sicilienne, dont le thème était l’amour courtois inspiré des troubadours provençaux. Les interprètes du mouvement sont des fonctionnaires du royaume qui commencent à écrire des poèmes en partageant une langue commune, le sicilien courtois. De plus, l’empereur lui-même encouragea l’émergence d’une langue supranationale qui pouvait également être comprise au-delà des frontières siciliennes, étendant ses intérêts politiques au-delà du royaume de Sicile et jusqu’en Campanie, dans les Pouilles et dans la marca trevigiana. Avec la chute des Souabes en 1266, l’école poétique s
Avec la chute des Souabes en 1266, l’école poétique sicilienne déclina également et les poètes commencèrent à travailler sur des manuscrits toscans plutôt que siciliens ; l’école sicilienne nous a laissé la forme métrique du sonnet ABBA-ABBA/CDC -CDC . Mi sono beato del saluto di colei/ la quale vorrei madonna diventasse/ e che niun omo fora di me’amasse/ che io se ciò accadesse ne morrei écrivait le soussigné à l’aube de son adolescence quand seul l’amour courtois comptait.
Et tout comme la poésie sicilienne avait influencé le soussigné, d’éminents poètes et écrivains toscans s’en sont également inspirés, donnant naissance à un mouvement littéraire qui a contribué à diffuser la langue vernaculaire toscane bien au-delà des frontières régionales. Parmi ces auteurs, citons Guido Guinizelli, Francesco Petrarca. Dante Alighieri et Boccace pour la prose, qui aimait d’ailleurs raconter davantage l’amour terrestre que l’amour courtois dans ses récits.
Surtout, Dante est à l’origine de la fortune rapide qu’a connue la langue toscane en dehors de ses frontières régionales, grâce notamment à sa Divine Comédie qui, aujourd’hui encore, dans l’imaginaire collectif, nous donne une représentation de l’Enfer, du Purgatoire et du Paradis. En outre, Dante était un érudit des langues et dialectes d’Italie et, dans son œuvre “De Vulgari eloquentia”, écrite en latin, Dante divise les langues romaines occidentales en trois groupes, en fonction de leur façon de dire oui : La lingua del si da sic est (langue vernaculaire italienne), la lingua d’oc da hoc est (langue vernaculaire occitane) La lingua ‘d oil (français provençal) ille est. Par ailleurs, dans son œuvre, Dante reconnaît dans la lingua del si, 14 langues ou dialectes locaux qu’il divise en trois groupes, dialectes du nord jusqu’à la Romagne, du centre jusqu’au lazio du sud de la Campanie à la Sicile, mais ne reconnaît que le toscan comme langue digne de devenir la langue littéraire commune :
En effet, il considère le romain trop térébrant, le romagnol trop efféminé, le vénitien trop rude, le piémontais et le trentin trop périphériques et le sarde une imitation simiesque du latin classique ; enfin, le sicilien, bien que raffiné, ne répondait pas à toutes les exigences de l’illustre langue vernaculaire.
Cette illustre langue vernaculaire devint donc progressivement celle de la culture et de la littérature, mais le reste de l’Italie avait du mal à accepter la prononciation toscane, avec ses consonnes molles et aspirées, comme si l’on parlait avec un œuf dans la bouche. La langue toscane, langue de la poésie et de la littérature, mais aussi des actes administratifs, est donc restée remarquablement stable pendant près de cinq siècles, ce qui est impensable pour une langue parlée, mais cela est principalement dû au fait que la reconnaissance du toscan ne s’est faite que sous sa forme écrite, alors qu’au niveau local, même les classes les plus cultivées s’exprimaient dans leur langue régionale. À Naples, la cour s’exprimait en napolitain, à Rome, la noblesse locale en romanesco, sans parler de la noblesse sicilienne ;
Le rapprochement entre la langue écrite et la langue parlée est dû au travail de Manzoni qui, après une première ébauche du roman des Promessi Sposi, a passé quelque temps à Florence pour rincer son linge dans l’Arno, comme il aimait à le dire, afin de republier son roman en utilisant des termes de la langue parlée toscane. En effet, pour ne citer que quelques exemples, il a remplacé “adesso” par “ora”, “ambedue” par “tutti e due”, “confabulare” par “chiacchierare”, “dimandare” par “domandare”, etc.
Qu’en est-il du latin dans tout cela ? Bien que l’italien ait gagné du terrain, le latin est resté la langue officielle de la Sainte Église romaine et des lettrés, et jusqu’à la fin du XVIIIe siècle, il a été utilisé dans l’enseignement universitaire et dans les langues de l’érudition historique ; certains ouvrages comportent même un texte bilingue (Istoria dell’incendio del Vesuvio, survenu en mai 1737), rédigé sur ordre de Charles III de Bourbon non seulement en langue vernaculaire, mais aussi en latin, afin d’être lu par les lettrés qui vivaient au-delà des Alpes. Le latin était alors pour la haute bourgeoisie ce que le français était aux XIXe et XXe siècles et l’anglais aujourd’hui, et servait de langue de communication entre les érudits européens. Le toscan était la langue de la bourgeoisie alors que le peuple continuait à parler son dialecte, et il fit sensation à Naples lorsque, en 1754, Antonio Genovesi tint les cours d’économie civile en italien. Entre-temps, une académie linguistique avait également vu le jour, l’Accademia della crusca, dans le but de défendre la pureté de la langue italienne. Enfin, ce n’est qu’au XIXe siècle, avec Alessandro Manzoni, que l’on prend conscience que la langue n’est pas seulement un instrument littéraire mais aussi un instrument social nécessaire au progrès de la population qui, grâce aux moyens de diffusion (radio et télévision) et à l’augmentation du taux de scolarisation, permet aux classes les plus modestes d’accéder à l’italien, même si dans certaines régions, particulièrement identitaires (Vénétie, Campanie, Sicile), le dialecte est largement utilisé et, même en Campanie, il est source d’art grâce à de nombreux auteurs qui ont utilisé la langue napolitaine dans des pièces de théâtre ou des chansons connues dans le monde entier.
Au terme de ce bref entretien, outre le souvenir de Dante Petrarca et de Boccace pour leurs œuvres en faveur de l’italien, je voudrais également souligner le travail d’Edoardo De Filippo, de Roberto De Simone et de Massimo Troise en faveur du napolitain, une langue pertinente comme tant d’autres dialectes parlés en Italie.
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