L’italiano attraverso i secoli . Dalla lingua dotta a quella volgare.

All’inizio fu il latino, il latino, dotto repubblicano, quello di Cesare e Cicerone, ma a partire da Augusto qualcosa mutò. L’imperatore era incline ai volgarismi e la religione cristiana, pane del popolo, incomincia ad agire come irresistibile lievito fino ad arrivare alla caduta dell’impero ed ai primi insediamenti barbarici sul suolo italico.

La lingua parlata si allontana sempre più dalla lingua scritta non seguendo più la struttura grammaticale ortodossa. Per meglio comprendere quello che si verificava all’epoca, riporto l’ iscrizione di un papiro pompeiano: quisquis ama valia Peria qui nosci amare bis peria quisquis amare vota invece del grammaticalmente corretto Quisquis Amat Valeat,permeat qui nescit amare, bis tanti permeat quisquis amare Vetat.

Come si nota iniziano a sparire le declinazioni e le vocali si tramutano la e chiusa di vetat diviene quasi o.Insomma già alla caduta dell’impero Romano, il latino parlato non è più Latino, ma bisognerà attendere altri trecento anni perché si abbia coscienza che altre lingue di origine Romana vanno ad affermarsi. Non solo in Italia, dove l’indovinello Veronese rappresenta la più antica attestazione scritta : se pareba boves,Alba pratalia araba, albo versorio teneba,negro semen seminaba;  ma anche in Francia, dove nel concilio di Tours (813) si raccomanda ai preti di tenere le omelie in volgare (rusticam romana linguam). Ma bisogna attendere fino al 960 perché si abbiano i primi testi riconosciuti come italiano antico. Si tratta di quattro brevi testimonianze redatte da un notaio nella forma del latino volgare parlato nell’Italia centro meridionale, circa dei giuramenti sull’appartenenza di beni a dei monasteri nella regione di Monte Cassino I cosiddetti placiti cassinesi.In realtà alla caduta dell’impero, mancando un’unità politica ciascuna regione aveva elaborato un proprio dialetto ed ogni dialetto aveva carattere di lingua e se qualcuno tra essi ha soppiantato gli altri é stato o per motivi strettamente politici, come in Francia, dove la lingua d ‘oil ha soppiantato la lingua d’oc,  che andava definendosi come lingua nazionale per meriti letterari,  dopo la sconfitta dei conti di Tolosa fu soppiantata dalla lingua del Oil;

I primordi della lingua Italiana sono datati dal 960 al 1225 ed è durante questo periodo che trovano vita le prime opere in volgare italico  presso la corte Palermitana di Federico II di Svevia dove ebbe origine la scuola poetica siciliana avendo a tema l’amor cortese ispirato dai trovatori provenzali. Gli interpreti del movimento erano dei funzionari del regno che iniziarono a scrivere poesie condividendo una lingua comune, il Siciliano aulico. Inoltre lo stesso imperatore incoraggiava il nascere di una lingua sovranazionale che potesse essere compresa anche al di la dei confini Siciliani, estendendosi i suoi interessi politici al di là del regno di Sicilia e fino alla Campania, la puglia e la marca trevigiana. Con la caduta degli Svevi nel 1266 anche la scuola poetica siciliana viene meno ed i poeti iniziarono a lavorare su manoscritti toscani piuttosto che Siciliani; La scuola Siciliana ci ha lasciato la metrica del sonetto nella forma metrica ABBA-ABBA/CDC -CDC . Mi son beato del saluto di colei/ la qual vorrei madonna diventasse/ e che niun omo  fora di me’amasse/ che io se ciò accadesse ne morrei scriveva il sottoscritto durante l’alba della sua adolescenza quando contava solo l’amor cortese.

E cosi come la poesia Siciliana aveva influenzato il sottoscritto anche eminenti poeti e scrittori   toscani ne furono ispirati dando luogo ad un movimento letterario che contribuì a veicolare il toscano volgare ben oltre i confini regionali. Tali autori furono furono Guido Guinizelli, Francesco Petrarca. Dante Alighieri e Boccaccio per la prosa, che a dire il vero ,amava raccontare nelle sue storie piú l’amor terreno che quello cortese.

Sopratutto Dante fu all’origine della rapida fortuna che ebbe il toscano al di fuori dei confini regionali sopratutto grazie alla sua Divina Commedia che ancora oggi nell’immaginario collettivo ci da la raffigurazione dell’Inferno, del Purgatorio e del Paradiso; Inoltre Dante fu uno studioso delle lingue e dei dialetti d’Italia e nella sua opera “De Vulgari eloquentia” scritta peraltro in Latino, Dante divide le lingue romane occidentali in tre gruppi, nella maniera in cui esse dicono si : La lingua del si da sic est  (Volgare Italiano), la lingua d’oc da hoc est (volgare occitano) La lingua ‘d oil (franco provenzale) ille est. Inoltre Dante in testa opera riconosce nella lingua del si, 14 lingue locali o dialettali che divide in tre gruppi, dialetti del nord fino alla Romagna, del centro fino al lazo del meridione dalla Campania alla sicilia ma riconosce solo il Toscano come lingua degna di divenire la lingua letteraria comune:

Infatti egli reputa il romano troppo turpe, il Romagnolo troppo effemminato, il veneto troppo duro, il Piemontese e il trentino troppo periferici e il Sardo un’imitazione scimmiesca del Latino Classico; infine il siciliano anche se raffinato, non rispondeva tutte le esigenze del Volgare illustre.

Dunque questo volgare illustre a poco alla volta è divenuto quello della cultura e della letteratura ma il resto d’Italia aveva del male ad accettare la pronuncia toscana con le loro consonanti molle ed aspirate, come se parlassero con un uovo in bocca. Il Toscano quindi lingua di poesia e letteratura, ma anche di atti amministrativi ha conosciuto una notevole stabilità per quasi cinque secoli, qualcosa di impensabile per una lingua parlata, ma questo fu dovuto sopratutto al fatto che il riconoscimento del Toscano si ebbe solo nella forma scritta mentre a livello locale anche i ceti più colti si esprimevano nella loro lingua regionale. A Napoli a corte parlavano in Napoletano, a Roma i nobili locali in Romanesco per non parlare della Nobiltà Siciliana; L avvicinamento fra la lingua scritta e la lingua parlata fu dovuta al lavoro del Manzoni che dopo una prima stesura del romanzo dei promessi sposi, passò del tempo a Firenze per sciacquare i panni in Arno, come egli amava dire, in modo da ripubblicare il suo Romanzo utilizzando dei termini del Toscano parlato. Infatti per fare qualche esempio sostituì’ adesso con ora, ambedue con tutt’e due ,confabulare con chiacchierare, dimandare con domandare ed altro.

Ed il Latino in tutto questo? Nonostante l’Italiano abbia guadagnato terreno, il Latino resta la ligua Ufficiale di Santa Romana chiesa, e dei colti e sino alla fine del 1700, è  usato per l’insegnamento universitario, ed è fortemente utilizzato nelle lingue di erudizione storiche ;qualche opera si presenta pure con un testo bilingue  (Istoria dell’incendio del Vesuvio, accaduto nel mese di Maggio del 1737 )redatta per ordine di Carlo III di Borbone non solo in volgare ma anche in Latino per poter esse letta anche dai colti che abitavano al di la delle Alpi. Il Latino all’epoca era per i ceti medio alti quello che fu il Francese fra l’ottocento e il Novecento e l’Inglese oggi e veniva usata come lingua di comunicazione tra i dotti europei. Il Toscano era la lingua della borghesia mentre il popolo continuava a parlare il loro dialetto e fece scalpore a Napoli il fatto che , nel 1754, Antonio Genovesi tenesse in Italiano le lezioni della nuova cattedra di Economia civile. Nel frattempo era sorta anche un accademia linguistica, l’accademia della crusca con l’impegno di difendere la purezza della lingua Italiana. Infine é solo nell’800, con Alessandro Manzoni che ci si rende conto che la lingua  non è soltanto strumento letterario ma é uno strumento sociale necessario al progresso della popolazione che grazie ai mezzi di divulgazione della parola (radio e televisione) ed all’incremento del tasso di scolarizzazione hanno consentito anche ai ceti più modesti l’accesso all’Italiano anche se in alcune regioni, particolarmente identitarie (Veneto, Campania ,Sicilia°) il dialetto e fortemente utilizzato e addirittura in Campania è fonte di arte grazie all’opera di numerosi autori che si sono serviti della lingua Napoletana per opere teatrali o canzoni note in tutto il mondo.

Alla fine di questa breve chiacchierata oltre a Ricordare Dante Petrarca e Boccaccio per le loro opere a favore dell’Italiano, mi piace anche sottolineare il lavoro di Edoardo De Filippo, Roberto De Simone e Massimo Troise a favore del Napoletano che ha rilevanza di lingua come tanti altri dialetti parlati in Italia.

C’est d’abord le latin, le latin savant républicain, celui de César et de Cicéron, mais à partir d’Auguste, quelque chose change. L’empereur est enclin aux vulgarités et la religion chrétienne, pain du peuple, commence à agir comme un ferment irrésistible jusqu’à la chute de l’empire et les premières installations barbares sur le sol italique.

La langue parlée s’éloigne de plus en plus de la langue écrite, ne suivant plus la structure grammaticale orthodoxe. Pour mieux comprendre ce qui se passait à l’époque, je cite une inscription tirée d’un papyrus pompéien : quisquis ama valia Peria qui nosci amare bis peria quisquis amare Vetat au lieu du grammaticalement correct Quisquis Amat Valeat,permeat qui nescit amare, bis tanti permeat quisquis amare Vetat.

Comme on peut le constater, les déclinaisons commencent à disparaître et les voyelles changent, le e fermé de vetat devenant presque o. En bref, à la chute de l’Empire romain, le latin parlé n’est plus du latin, mais il faudra encore trois cents ans pour que d’autres langues d’origine romaine s’établissent. Non seulement en Italie, où l’énigme véronaise représente la plus ancienne attestation écrite : se pareba boves,Alba pratalia araba, albo versorio teneba,negro semen seminaba ; mais aussi en France, où le concile de Tours (813) recommande aux prêtres de prononcer les homélies en langue vernaculaire (rusticam romana linguam). Mais il faut attendre  le 960 pour que les premiers textes soient reconnus comme de l’italien ancien. Il s’agit de quatre courts témoignages rédigés par un notaire en latin vernaculaire parlé dans le centre de l’Italie méridionale, à propos de serments sur la propriété des biens des monastères de la région de Monte Cassino, les “I placiti cassinesi)”. En réalité, à la chute de l’empire, en l’absence d’unité politique, chaque région avait développé son propre dialecte et chaque dialecte avait le caractère d’une langue, et si l’un d’entre eux supplantait les autres, c’était soit pour des raisons strictement politiques, comme en France, où la langue d’oil supplanta la langue d’oc, qui se définissait comme langue nationale en raison de ses mérites littéraires. Mais après la défaite des comtes de Toulouse, elle fut supplantée par la langue du Oil ;

Les débuts de la langue italienne sont datés de 960 à 1225, et c’est à cette époque que les premières œuvres en langue vernaculaire italienne virent le jour à la cour palermitaine de Frédéric II de Souabe, où naquit l’école poétique sicilienne, dont le thème était l’amour courtois inspiré des troubadours provençaux. Les interprètes du mouvement sont des fonctionnaires du royaume qui commencent à écrire des poèmes en partageant une langue commune, le sicilien courtois. De plus, l’empereur lui-même encouragea l’émergence d’une langue supranationale qui pouvait également être comprise au-delà des frontières siciliennes, étendant ses intérêts politiques au-delà du royaume de Sicile et jusqu’en Campanie, dans les Pouilles et dans la marca trevigiana. Avec la chute des Souabes en 1266, l’école poétique s

Avec la chute des Souabes en 1266, l’école poétique sicilienne déclina également et les poètes commencèrent à travailler sur des manuscrits toscans plutôt que siciliens ; l’école sicilienne nous a laissé la forme métrique du sonnet ABBA-ABBA/CDC -CDC . Mi sono beato del saluto di colei/ la quale vorrei madonna diventasse/ e che niun omo fora di me’amasse/ che io se ciò accadesse ne morrei écrivait le soussigné à l’aube de son adolescence quand seul l’amour courtois comptait.

Et tout comme la poésie sicilienne avait influencé le soussigné, d’éminents poètes et écrivains toscans s’en sont également inspirés, donnant naissance à un mouvement littéraire qui a contribué à diffuser la langue vernaculaire toscane bien au-delà des frontières régionales. Parmi ces auteurs, citons Guido Guinizelli, Francesco Petrarca. Dante Alighieri et Boccace pour la prose, qui aimait d’ailleurs raconter davantage l’amour terrestre que l’amour courtois dans ses récits.

Surtout, Dante est à l’origine de la fortune rapide qu’a connue la langue toscane en dehors de ses frontières régionales, grâce notamment à sa Divine Comédie qui, aujourd’hui encore, dans l’imaginaire collectif, nous donne une représentation de l’Enfer, du Purgatoire et du Paradis. En outre, Dante était un érudit des langues et dialectes d’Italie et, dans son œuvre “De Vulgari eloquentia”, écrite en latin, Dante divise les langues romaines occidentales en trois groupes, en fonction de leur façon de dire oui : La lingua del si da sic est (langue vernaculaire italienne), la lingua d’oc da hoc est (langue vernaculaire occitane) La lingua ‘d oil (français provençal) ille est. Par ailleurs, dans son œuvre, Dante reconnaît dans la lingua del si, 14 langues ou dialectes locaux qu’il divise en trois groupes, dialectes du nord jusqu’à la Romagne, du centre jusqu’au lazio du sud de la Campanie à la Sicile, mais ne reconnaît que le toscan comme langue digne de devenir la langue littéraire commune :

En effet, il considère le romain trop térébrant, le romagnol trop efféminé, le vénitien trop rude, le piémontais et le trentin trop périphériques et le sarde une imitation simiesque du latin classique ; enfin, le sicilien, bien que raffiné, ne répondait pas à toutes les exigences de l’illustre langue vernaculaire.

Cette illustre langue vernaculaire devint donc progressivement celle de la culture et de la littérature, mais le reste de l’Italie avait du mal à accepter la prononciation toscane, avec ses consonnes molles et aspirées, comme si l’on parlait avec un œuf dans la bouche. La langue toscane, langue de la poésie et de la littérature, mais aussi des actes administratifs, est donc restée remarquablement stable pendant près de cinq siècles, ce qui est impensable pour une langue parlée, mais cela est principalement dû au fait que la reconnaissance du toscan ne s’est faite que sous sa forme écrite, alors qu’au niveau local, même les classes les plus cultivées s’exprimaient dans leur langue régionale. À Naples, la cour s’exprimait en napolitain, à Rome, la noblesse locale en romanesco, sans parler de la noblesse sicilienne ;

Le rapprochement entre la langue écrite et la langue parlée est dû au travail de Manzoni qui, après une première ébauche du roman des Promessi Sposi, a passé quelque temps à Florence pour rincer son linge dans l’Arno, comme il aimait à le dire, afin de republier son roman en utilisant des termes de la langue parlée toscane. En effet, pour ne citer que quelques exemples, il a remplacé “adesso” par “ora”, “ambedue” par “tutti e due”, “confabulare” par “chiacchierare”, “dimandare” par “domandare”, etc.

Qu’en est-il du latin dans tout cela ? Bien que l’italien ait gagné du terrain, le latin est resté la langue officielle de la Sainte Église romaine et des lettrés, et jusqu’à la fin du XVIIIe siècle, il a été utilisé dans l’enseignement universitaire et dans les langues de l’érudition historique ; certains ouvrages comportent même un texte bilingue (Istoria dell’incendio del Vesuvio, survenu en mai 1737), rédigé sur ordre de Charles III de Bourbon non seulement en langue vernaculaire, mais aussi en latin, afin d’être lu par les lettrés qui vivaient au-delà des Alpes. Le latin était alors pour la haute bourgeoisie ce que le français était aux XIXe et XXe siècles et l’anglais aujourd’hui, et servait de langue de communication entre les érudits européens. Le toscan était la langue de la bourgeoisie alors que le peuple continuait à parler son dialecte, et il fit sensation à Naples lorsque, en 1754, Antonio Genovesi tint les cours d’économie civile en italien. Entre-temps, une académie linguistique avait également vu le jour, l’Accademia della crusca, dans le but de défendre la pureté de la langue italienne. Enfin, ce n’est qu’au XIXe siècle, avec Alessandro Manzoni, que l’on prend conscience que la langue n’est pas seulement un instrument littéraire mais aussi un instrument social nécessaire au progrès de la population qui, grâce aux moyens de diffusion (radio et télévision) et à l’augmentation du taux de scolarisation, permet aux classes les plus modestes d’accéder à l’italien, même si dans certaines régions,  particulièrement identitaires (Vénétie, Campanie, Sicile), le dialecte est largement utilisé et, même en Campanie, il est source d’art grâce à de nombreux auteurs qui ont utilisé la langue napolitaine dans des pièces de théâtre ou des chansons connues dans le monde entier.

Au terme de ce bref entretien, outre le souvenir de Dante Petrarca et de Boccace pour leurs œuvres en faveur de l’italien, je voudrais également souligner le travail d’Edoardo De Filippo, de Roberto De Simone et de Massimo Troise en faveur du napolitain, une langue pertinente comme tant d’autres dialectes parlés en Italie.

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Appunti sull’immigrazione Italiana in Francia.

Non é piacevole parlare di emigrazione, immigrazione o qualsivoglia fenomeno migratorio, perché dietro questo termine c’è sempre un fenomeno di disagio sociale che si abbatte su parte della popolazione obbligata dalla forza degli eventi ad abbandonare la propria terra, la propria cultura,le proprie abitudini e spesso la propria famiglia.  Le prime migrazioni iniziarono in Italia dopo il 1861 e la causa fu la colonizzazione del Sud da parte del regno di Sardegna (poi divenuto Regno d’Italia) che imponendo pesanti tasse fondiarie sulle terre requisite ai latifondisti e ridistribuite ai contadini in piccole parcelle, fu causa del loro indebitamento, non potendo essi con i  limitati raccolti sopportare il peso fiscale del nuovo Stato Unitario, e continuarono poi nel tempo, soprattutto a cavallo delle due guerre mondiali ed all’inizio degli anni 50 fino al 1970 anno in cui a fronte di una recessione economica in Francia ci fu invece uno sviluppo economico nella penisola grazie allo sviluppo dell’industria metalmeccanica (acciaierie), automobilistica e alimentare.

Piu che dell’emigrazione, evento triste e malinconico, a me piace parlare di coloro che parlando del loro paese intendono quel vasto territorio che si estende dalla Bretagna, la Normandia  e Parigi e  si estende fino a Roma e alla Sicilia;

Già nel Basso Medioevo, gli italiani erano conosciuti in Francia anzitutto come banchieri, provenienti dal Piemonte. A partire dal 1100 questi banchieri detti “lombardi”, come si usava nel medioevo per indicare gli abitanti del nord Italia, si diffusero in Francia. Da allora molti italiani hanno fatto la Francia: dal 1642 fino alla sua morte nel 1661, il cardinale italiano Giulio Mazzarino fu il primo ministro della Francia; dal 1669 fino alla sua morte nel 1712 l’astronomo italiano Giovanni Domenico Cassini fu direttore dell’Osservatorio di Parigi; nel 1761-93 Carlo Goldoni fu responsabile della Theatre Italien a Parigi; i compositori Niccolò Piccinni e Antonio Sacchini furono attivi in Francia durante quegli anni; nel 1787 il matematico torinese Giuseppe Luigi Lagrange si trasferì da Berlino a Parigi e fu nominato senatore dell’impero francese. 

In Italia vivono e hanno vissuto Francesi  perfettamente integrati che hanno lasciato una traccia importante della loro presenza, Jean Noel Schifano, scrittore ed ex direttore dell’istituto Francese di Napoli, Sylvayn Bellenger Direttore del Museo di Capodimonte a Napoli, I cuochi francesi a Napoli,  ispiratori della cucina napoletana, detti Monsu'(dalla storpiatura del termine Monsieur in napoletano) il pittore Jean-Leon Jerome autore di molti dipinti creati durante il suo soggiorno Italiano, per non parlare dell’influenza culturale Francese dei tanti Filosofi illuministi che  andavano ben oltre il concetto di Nazione individuando la ragione e l’intelletto come unica Patria del genere umano.

Grande rispetto per quegli uomini e quelle donne che hanno abbandonato il loro mondo per una vita migliore ma sono convinto che attraverso la conoscenza del passato  e degli errori compiuti l’essere umano possa migliorare, e porre fine alle discriminazioni  le ingiustizie e sofferenze incrociate nel triste cammino dell’emigrazione. Oggi siamo tutti cittadini di un’Europa unita, ciascuno con una propria nazionalità che rappresenta iun arricchimento per ciascuno di noi e dimenticando L’Italia di 50 anni fa, abbracciando la sua modernità attuale, la sua evoluzione i suoi giovani che sono cittadini europei di fiera nazionalità Italiana.

Notes sur l’immigration italienne en France.

Il n’est pas agréable de parler d’émigration, d’immigration ou de tout phénomène migratoire, car derrière ce terme il y a toujours un phénomène de malaise social qui touche une partie de la population forcée par les événements à abandonner sa terre, sa culture, ses habitudes et souvent la famille . Les premières migrations ont commencé en Italie après 1861 et ont pour cause la colonisation du Sud par le Royaume de Sardaigne (qui deviendra plus tard le Royaume d’Italie) qui, en imposant de lourdes taxes foncières sur les terres réquisitionnées aux propriétaires terriens et redistribuées aux paysans dans de petites parcelles, fait que leur endettement ne pouvait supporter la charge fiscale du nouvel État unitaire, puis s’est poursuivi dans le temps, notamment au tournant des deux guerres mondiales et au début des années 1950 jusqu’en 1970 où, face à une récession économique en France d’autre part, il y a eu un développement économique dans la péninsule grâce aux industries métallurgiques (aciéries), automobiles et alimentaires.

Plus que l’émigration, événement triste et mélancolique, j’aime à parler de ceux qui, parlant de leur pays, entendent ce vaste territoire qui s’étend de la Bretagne, de la Normandie et de Paris et s’étend jusqu’à Rome et la Sicile ;

Déjà à la fin du Moyen Âge, les Italiens étaient connus en France d’abord comme banquiers, venus du Piémont. A partir de 1100 ces banquiers appelés “Lombard”, comme on l’utilisait au Moyen Age pour désigner les habitants de l’Italie du Nord, se sont répandus en France. Depuis lors, de nombreux Italiens ont fait la France : de 1642 jusqu’à sa mort en 1661, le cardinal italien Giulio Mazzarino était le premier ministre de la France ; de 1669 jusqu’à sa mort en 1712, l’astronome italien Giovanni Domenico Cassini fut directeur de l’Observatoire de Paris ; en 1761-1793, Carlo Goldoni dirigeait le Théâtre Italien de Paris ; les compositeurs Niccolò Piccinni et Antonio Sacchini étaient actifs en France pendant ces années ; en 1787, le mathématicien turinois Giuseppe Luigi Lagrange quitta Berlin pour Paris et fut nommé sénateur de l’empire français.

Des Français parfaitement intégrés qui ont laissé une trace importante de leur présence en Italie, Jean Noel Schifano, écrivain et ancien directeur de l’institut français de Naples, Sylvayn Bellenger Directeur du Musée Capodimonte de Naples, cuisiniers français de Naples, inspirateurs de la cuisine napolitaine , dit Monsu’ (de la déformation du terme Monsieur en napolitain) le peintre Jean-Léon Jérôme, auteur de nombreux tableaux réalisés lors de son séjour en Italie, sans oublier l’influence culturelle française des nombreux Philosophes des Lumières qui allèrent bien au-delà des concept de nation en identifiant la raison et l’intellect comme la seule patrie de l’humanité.

Grand respect pour ces hommes et ces femmes qui ont abandonné leur monde pour une vie meilleure mais je suis convaincu qu’à travers la connaissance du passé et des erreurs commises, l’être humain peut s’améliorer, et mettre fin aux discriminations, injustices et souffrances traversées en le triste chemin de l’émigration. Aujourd’hui, nous sommes tous citoyens d’une Europe unie, chacun avec sa propre nationalité qui représente un enrichissement pour chacun de nous et oubliant l’Italie d’il y a 50 ans, embrassant sa modernité actuelle, son évolution, ses jeunes citoyens européens de fière nationalité italienne.

LA SAGA MEDICEA DALLA TOSCANA ALL’EUROPA

Lorenzo il Magnifico

I medici sono una delle più note famiglie italiane, non fosse altro che per il loro nome legato indissolubilmente alla storia rinascimentale di Firenze ed avendo influenzato, nel corso dei secoli, la storia di alcune più famose monarchie Europee,  sia  dello Stato della chiesa, vantando tra i propri la regina Caterina di Francia, moglie di Enrico II di Francia, Maria dei Medici, madre di Carlo III futuro padre( almeno ufficialmente del re sole,  Giovanni divenuto poi papa con il nome di Leone X, Giulio dei medici, divenuto poi Clemente VII ,Alessandro dei Medici marito di Margherita d’Austria figlia dell’imperatore Carlo V e, sicuramente tant altri rampolli e cadetti medicei trovarono bene il loro posto nelle varie corti europee.Da Cosimo il vecchio (1389-1464), a Giangastone ultimo granduca di Toscana, deceduto nel 1737, la famiglia vive insieme alla città  l’età dello splendore e quello della decadenza.

Essi erano originari del Mugello, una valle ubicata al nord di Firenze, ove viveva tal Giambuono, proprietario dei beni e terre,  dedito all’agricoltura; essi si trasferirono a Firenze all’alba del 1200 per dedicarsi ad attività Finanziarie; Il primo dei Medici ad accumulare una vera fortuna fu Giovanni, figlio di Bicci discendente  di Chiarissimo proprietario a Firenze di varie case e torri al mercato vecchio, e da Giovanni di Bicci derivano i due rami storici della famiglia: quello di Cosimo il Vecchio, nonno di Lorenzo il magnifico, e quello di Lorenzo il vecchio, sopravvissuto fino alla metà del settecento e che diede i Natali all’ultimo Granduca di Toscana:Gastone de’Medici;

Giovanni fu il fondatore della banca dei Medici e grazie a fortunate circostanze  e ad una buona dose di coraggio, che negli affari non fa mai male, la sua banca  non solo divenne la fiduciaria  del Papa, ma finanziózé l’impresa di Francesco Sforza nella conquista del Ducato di Milano e  la vittoria di Edoardo IV d’Inghilterra nella guerra delle due rose.

Grazie al prestigio e ai denari accumulati il figlio Cosimo, dopo anni di dispute tra le varie famiglie appartenenti all’alta e ricca borghesia fiorentina ,creò in tutta Firenze una rete composta da familiari stretti e lontani, ma anche da amici che in cambio di posti di rilievo nelle cariche pubbliche della città , avrebbero fatti gli interessi di Cosimo e della famiglia dei Medici; Le apparenze repubblicane erano salve ma i centri decisionali e di potere erano nelle mani del primo signore de facto di Firenze: Cosimo il vecchio mentre de iure Firenze restava una repubblica.

A Cosimo successe nel  1464 , Piero il Gottoso che di salute cagionevole governò nei cinque anni successivi in modo brillante riuscendo a respingere anche una cospirazione, con l’aiuto del figlio Lorenzo, ordita da Luca Pitti a cui fu fatta grazia della vita ma nei confronti del quale i Medici realizzarono una sorta di embargo che condusse alla rovina l’ambizioso Luca e  e la sua famiglia.

Nel 1469 successe a Piero Lorenzo, che come i suoi predecessori non ricopriva nell’ambito della repubblica di Firenze alcun incarico Ufficiale ma ne era il signore de facto. ereditando dal nonnoquell’amore per le arti e per le lettere quella saggezza politica per cui passerà alla storia con il meritato appellativo del magnifico.

Sotto la sua guida Firenze diventa capitale universale dell’arte della cultura, grazie alla cerchia di letterati elargisti che vivono alla corte di Lorenzo l’umanesimo il rinascimento si irradiano da Firenze all’intera  Europa dando vita ad un movimento di idee destinato ad influenzare profondamente la storia dei due secoli successivi. Benché i medici continuano ad esercitare la finanza  e il commercio, la sua raffinata educazione è più prossima a quella di un principe che a quella di un esponente della borghesia grassa;C’è una dote peró di cui Lorenzo é privo: la cura degli affari; Lorenzo a differenza dei suoi predecessori non era un uomo d’affari ma un intellettuale e un politico ed affida la cura dell’amministrazione ad un manipolo di fiduciari. É il primo dei Medici che non accumula ma spende e le sue saranno davvero grandi spese, nelle sue mani l’ingente fortuna realizza ta da Giovanni di Bicci e Cosimo il vecchio si assottiglia ma Firenze si arricchisce di opere d’arte e cultura, ed i suoi successori continueranno su questa Strada. Con Lorenzo la famiglia Medicea raggiunge forse l’apice ma dalla somma poi si torna verso valle.

Lorenzo assume la guida della famiglia ad appena vent’anni e sceglie come moglie la giovane Clarice Orsini degli omonimi principi Romani. La scelta di una moglie straniera non fu ben vista dalla città di Firenze perchè non rientrava nei costumi cittadini andarsi a cercare una sposa forestiera ma in questo modo Lorenzo non offese nessuno dell’aristocrazia locale appartenendo sua moglie ad una famiglia Romana che inoltre garantisce un’importante alleanza con lo Stato Pontificio.

La saga de Medicis de Florence a L’Europe

Les Médicis sont l’une des familles italiennes les plus connues, ne serait-ce que pour leur nom inextricablement lié à l’histoire de la Renaissance de Florence et ayant influencé, au fil des siècles, l’histoire de certaines des monarchies européennes les plus célèbres, à la fois de l’état du église, comptant parmi les leurs la reine Catherine de France, épouse d’Henri II de France, Marie de Médicis, mère du futur père de Charles III (au moins officiellement du roi soleil, Jean qui devint plus tard pape sous le nom de Léon X, Giulio dei Medici, qui devint plus tard Clément VII, Alessandro dei Medici, époux de Marguerite d’Autriche, fille de l’empereur Charles Quint et, sûrement, de nombreux autres rejetons et cadets Médicis trouvèrent bien leur place dans les différentes cours européennes. 1389-1464), jusqu’au dernier grand-duc Giangastone de Toscane, décédé en 1737, la famille a vécu avec la ville l’âge de la splendeur et celui de la décadence.

Ils étaient originaires du Mugello, une vallée située au nord de Florence, où vivait un certain Giambuono, propriétaire de biens et de terres, vouées à l’agriculture ; ils s’installent à Florence à l’aube de 1200 pour se consacrer aux activités financières ; Le premier des Médicis à amasser une véritable fortune fut Giovanni, fils de Bicci, descendant de Chiarissimo, propriétaire de diverses maisons et tours du vieux marché de Florence ; les deux branches historiques de la famille dérivent de Giovanni di Bicci : celle de Cosme l’Ancien, grand-père de Laurent le Magnifique, et celle de Laurent l’Ancien, qui survécut jusqu’au milieu du XVIIIe siècle et fut le berceau du dernier grand-duc de Toscane : Gaston de Médicis ;

Giovanni a été le fondateur de la banque Médicis et grâce à des circonstances heureuses et une bonne dose de courage, qui ne fait jamais de mal dans les affaires, sa banque est non seulement devenue l’administrateur du pape, mais a financé l’entreprise de Francesco Sforza dans la conquête du duché de Milan et de la victoire d’Edouard IV d’Angleterre dans la Guerre des Roses.

Grâce au prestige et à l’argent accumulés, son fils Cosimo, après des années de disputes entre les différentes familles appartenant à la haute et riche bourgeoisie florentine, créa un réseau à travers Florence composé de membres de la famille proches et éloignés, mais aussi d’amis qui en échange pour les places importantes dans les bureaux publics de la ville, les intérêts de Cosme et de la famille Médicis auraient joué ; Les apparences républicaines étaient sûres mais les centres de décision et de pouvoir étaient entre les mains du premier seigneur “de facto” de Florence : Cosme l’ancien tandis que “de jure” de droit, Florence restait une république.

Cosimo fut remplacé en 1464 par Piero , qui, en mauvaise santé, gouverna brillamment dans les cinq années suivantes, parvenant à rejeter même un complot, avec l’aide de son fils Lorenzo, ourdi par Luca Pitti qui fut gracié de sa vie mais contre le quel les Médicis ont créé une sorte d’embargo qui a conduit à la ruine de l’ambitieux Luca et de sa famille.

En 1469, Piero fut remplacé par Lorenzo qui, comme ses prédécesseurs, n’occupait aucun poste officiel au sein de la république de Florence mais en était le seigneur de facto, héritant de son grand-père cet amour des arts et de la littérature dont la sagesse politique ira dans l’histoire avec le titre bien mérité de la magnifique.

Sous sa direction, Florence est devenue la capitale universelle de l’art de la culture, grâce au cercle des lettrés qui ont vécu à la cour de Lorenzo, l’humanisme et la Renaissance ont rayonné de Florence à toute l’Europe, donnant vie à un mouvement d’idées destiné d’influencer profondément l’histoire des deux siècles suivants. Bien que les médecins continuent d’exercer la finance et le commerce, son éducation raffinée est plus proche de celle d’un prince que de celle d’un membre de la grosse bourgeoisie ; Cependant, il y a une dot qui manque à Lorenzo : s’occuper des affaires ; Lorenzo, contrairement à ses prédécesseurs, n’était pas un homme d’affaires mais un intellectuel et un homme politique et confia l’administration à une poignée d’administrateurs. Il est le premier des Médicis qui n’accumule pas mais dépense et ses dépenses seront vraiment importantes, entre ses mains l’énorme fortune faite par Giovanni di Bicci et Cosimo l’ancien diminue mais Florence s’enrichit d’œuvres d’art et de culture, et son les successeurs continueront dans cette voie. Avec Lorenzo la famille Médicis atteint peut-être son apogée mais de la somme elle revient ensuite vers la vallée.

Lorenzo prend la direction de la famille à l’âge de vingt ans et choisit comme épouse la jeune Clarice Orsini des princes romains homonymes. Le choix d’une épouse étrangère n’a pas été bien accueilli par la ville de Florence car il ne faisait pas partie des coutumes de la ville d’aller chercher une épouse étrangère, mais de cette façon Lorenzo n’a offensé personne de l’aristocratie locale car sa femme appartenait à un Famille romaine qui garantit également une alliance importante avec les États pontificaux. Pendant les 33 années où il a dirigé la ville de Florence, les choses ne se sont pas toujours passées comme lui il espérait et avec l’élection au trône de Pierre d’un pape exposant de la famille della Rovere, (Sixte IV) Lorenzo est également entré en conflit avec l’État du Vatican et ses visées expansionnistes sur la ville de Florence.

Le pape n’hésita pas à s’allier à la famille ennemie jurée des Médicis, les Pazzi, qui le 26 avril 1478 lors d’un attentat dans la basilique de Santa Maria del Fiore tua Giuliano, le frère de Lorenzo, tandis que lui, bien que blessé, réussit à se sauver. La population se rangea du côté des Médicis, les conspirateurs furent tous sévèrement punis et la “damnatio memoria” , la damnation du  souvenir, fut proclamée pour la famille Pazzi. A la mort de Sixte IV, Innocent VIII fut élu pape, né  Giovan Battista Cibo, dont le fils Francesco épouse la fille aînée  de Lorenzo Maddalena. Les ennuis de Lorenzo avec l’église catholique n’ont donc pas pris fin car la figure d’un main est apparue à l’horizon, Girolamo Savonarola qui a commencé la prédication fanatique et integraliste et à la mort de Lorenzo en 1492, il a réussi à chasser son fils aîné Piero de la ville et devenir chef de  la république florentine jusqu’en 1497, quand il fut excommunié et pendu par le pape Alessandro VI Borja. À la mort de Piero, la direction de la famille passa entre les mains du deuxième fils de Lorenzo, Giovanni qui fut élu pape sous le nom de Léon X en 1513, ramenant la famille au pouvoir en très peu de temps mais conservant le véritable centre du pouvoir. au Vatican et pas sur les rives de l’Arno.

Entre-temps, les bases ont été posées pour que l’ancienne famille de banquiers et de marchands fasse partie de la noblesse non seulement italienne mais européenne, en fait le frère du pape ,Giuliano envoyé comme nonce auprès du roi de France a obtenu pour la première fois un titre noble ( Duc de Nemours) et la fille de son neveu Lorenzo (fils de Piero), était Catherine épouse d’Henri II de France, mère et régente de trois rois de France. François II Charles IX Henri III Et comment oublier Marie de Médicis épouse d’Henri VI, mère de Louis XIII et grand-mère (?) du Roi Soleil

Grâce à l’argent et à de puissants alliés, la seigneurie se transforma en duché de Toscane et survécut jusqu’en 1737 lorsque le dernier grand-duc, Giangastone, mourut sans héritiers, laissant le territoire du grand-duché aux Habsbourg-Lorraine.

L’Unità di Italia vista da un rivoluzionario napoletano.

La storiografia ufficiale scritta dai risorgimentalisti che alla fine vinsero la guerra ed ebbero il diritto di parola ci ha sempre parlato di una guerra di liberazione mossa dal Regno di Sardegna nei confronti dei Borboni di Napoli per l’affrancamento di quel popolo schiavo , povero e sottomesso.

E’ ovvio che gli storiografi di Stato dicono la loro verità che non combacia sempre con la realtà che invece ci mostra come nel corso di quegli eventi si siano verificati dei fatti incresciosi che vale la pena conoscere. Tanto per cominciare l’idea di Italia Unita affonda le radici nel movimento politico “chiamato risorgimento “; Il Risorgimento è un movimento ideologico e letterario che culminerà, nel 1861, con l’Unità d’Italia. Si tratta in realtà di un movimento complesso, dotato di molte anime, che gli storici hanno interpretato in modi differenti. Il Risorgimento è il risultato dell’attività di molti politici, pensatori, cospiratori e patrioti. Non tutti aspiravano allo stesso obiettivo: qualcuno immaginava un’Italia repubblicana, qualcuno una confederazione di stati unita sotto l’autorità del papa, alla fine l’Unità d’Italia seguirà il percorso di una monarchia liberale, quella di casa Savoia per motivi contingenti dovuti ad interessi economici e politici di Stati come la Francia e la Gran Bretagna ,sopratutto ,e alla sconfitta degli Austriaci contro la coalizione Vittorio Emanuele II/ Napoleone III che verso il 1860 causarono importanti cambiamenti territoriali portando il Veneto e la Lombardia sotto il dominio del Regno di Sardegna che in cambio  donò a Napoleone III il ducato di Nizza.

Dunque la contingenza era favorevole a che Vittorio Emanuele tentasse anche di annettersi dopo Lombardia e Veneto, il Regno delle Due Sicilie anche se sotto sotto I francesi avrebbero voluto un loro Principe (l’ultimo discendente di casa Murat).

In effetti l’annessione del Regno di Napoli rappresentava un gran business per gli aspiranti liberatori, fossero essi Francesi Inglesi o Sardo/piemontesi.Nel 1860 la popolazione del Regno delle Due Sicilie era poco piú di 9 milioni di abitanti.Il Regno in quell’anno poteva sicuramente essere considerato in campo economico al primo posto in Italia ed al terzo in Europa.
La moneta circolante nelle Due Sicilie era pari a 443,2 milioni di lire, cioè oltre il doppio di tutte le altre monete circolanti nella penisola italiana.
Per fare un paragone si può considerare che il Piemonte possedeva solo 20 milioni di lire.
Questo era stato il risultato di previdenti leggi che avevano regolato le importazioni e le esportazioni proprio con lo scopo di favorire la nascita dell’industria, dosando opportunamente i dazi doganali e le misure fiscali.
Infatti già dal 1818 l’industria tessile (seta, cotone e lana) e quella metalmeccanica erano i due principali settori trainanti dell’economia delle due Sicilia, tanto che molti stranieri trovarono conveniente investire nel Regno.

il setificio di San Leucio a Caserta

Il reddito pro-capite era pressoché uguale a quello medio italiano, per un totale complessivo di 275 milioni di ducati all’anno.
Per quanto riguarda la vita economica bisogna dire che i prezzi erano estremamente stabili ed il Governo era sempre attento a garantire sia un’attività produttiva redditizia sia paghe adeguate al contesto socioeconomico.
Rarissime erano le emigrazioni, poiché la disoccupazione era molto limitata.

Il settore agricolo, dava una eccedenza di risorse alimentari che erano cosí disponibili sia per la manodopera dell’industria sia per l’aumento della popolazione.
A proposito di agricoltura è necessario dire che è una favola quello di un Sud latifondista con i Borbone.
I latifondi al Sud si formarono con la venuta dei Piemontesi, che svendettero ai loro collaborazionisti tutte le terre demaniali rapinate ai contadini che ne avevano l’uso civico da centinaia di anni. La CAMPANIA del 1860 era la regione piú industrializzata d’Europa, particolarmente l’area napoletana, lungo l’asse Caserta – Salerno.
In essa vi erano sia il grandioso Opificio di Pietrarsa dove si producevano motori a vapore, locomotive, carrozze ferroviarie e binari, sia i famosi cantieri navali tra i migliori d’Europa, fabbriche d’armi e di utensileria, aziende chimiche – farmaceutiche e per la produzione della carta, del vetro, concia e pelli, alimentari, ceramiche e materiali per edilizia.
Prestigiosa era la produzione della seta di S. Leucio.
Numerose anche le fabbriche di strumenti tecnici, orologi, bilance, e insomma tutta una miriade di fabbriche minori, nei piú svariati campi di attività, diffuse geograficamente in tutto il territorio.

Il Regno, in quegli anni, aveva dunque una forte economia, con una stabile e solida moneta, ma non aveva un forte esercito.

Il 1° ministro del Regno di Sardegna era invece Camillo Benso conte di Cavour. La mistica risorgimentale ci ha abituato a considerare Cavour come padre del Risorgimento, un genio della politica. In realtà in quanto massone non era indifferente , come Garibaldi, alle influenze massoniche Inglesi ( e non c’è nulla di male ad essere massoni), ma la maggior parte delle sue decisioni non furono altro che esecuzioni dei “suggerimenti” che venivano orchestrati da Londra. L’Inghilterra, per quanto riguarda in particolare il Mediterraneo, perseguì una sua complessa strategia politica che si sviluppò attraverso varie fasi. Iniziò con l’impossessamento di Gibilterra e, nel 1800, di Malta, che apparteneva alle Due Sicilie, approfittando dei disordini causati dalle guerre di Napoleone. Poi, intorno al 1850, in previsione dell’apertura del canale di Suez, per essa divenne vitale possedere il dominio dei Mediterraneo per potersi collegare facilmente con le sue colonie. Per questo i suoi obiettivi principali furono l’eliminazione della Russia dal Mediterraneo, contro la quale scatenò la vittoriosa guerra di Crimea nel 1853, e il ridimensionamento dell’influenza politica della Francia nel Mediterraneo. Il fattore determinante che spinse l’Inghilterra a dare inizio alle modifiche dell’assetto politico della penisola italiana furono gli accordi commerciali tra le Due Sicilie e l’Impero Russo, che aveva iniziato a far navigare la sua flotta nel Mediterraneo, avendo come base di appoggio i porti delle Due Sicilie. La Francia, a sua volta, voleva rafforzare la sua influenza sulla penisola italiana, sia con un suo protettorato sullo Stato Pontificio, sia con un suo progetto di mettere un principe francese nelle Due Sicilie. Per raggiungere questi obiettivi le due potenze si servirono del piccolo Stato savoiardo che, non avendo risorse economiche e militari per fare le sue guerre, dovette vendere alla Francia Nizza e la Savoia, ed era in procinto di vendere anche la Sardegna se non fosse stato fermato dall’Inghilterra che temeva un più forte dominio della Francia nel bacino mediterraneo. In Piemonte, infatti, il sistema sociale ed economico era ben povera cosa. Vi erano solo alcune Casse di risparmio e le istituzioni più attive erano i Monti di Pietà. Insomma esistevano solo delle piccole banche e banchieri privati, generalmente d’origine straniera, che assicuravano il cambio delle monete al ridotto mercato piemontese. In Lombardia non c’era alcuna banca di emissione e le attività commerciali riuscivano ad andare avanti solo perché operava la banca austriaca. E tutto questo già da solo dovrebbe rendere evidente che prima dell’invasione del Sud, al nord non potevano esserci vere industrie, nè vi poteva essere un grande commercio, nè i suoi abitanti erano ricchi ed evoluti, come afferma la storiografia ufficiale. Per il Piemonte, dunque, il problema più urgente era quello di evitare il collasso economico, dato il suo disastroso bilancio, e l’unico modo per venirne fuori era quello offertogli da Inghilterra e Francia che gli promettevano il loro appoggio per l’annessione dei prosperi e ricchi territori delle Due Sicilie e degli altri piccoli Stati della penisola italiana

In tale quadro, con l’appoggio attivo degli Inglesi e quello piu subdolo dei Francesi ci fu lo sbarco in Sicilia da parte di Garibaldi che risalendo la penisola entrò a Napoli il 7 settembre del 1861 e il 26 ottobre del 1860 si incontrò a Teano , sul fiume Volturno, con l’esercito di Vittorio Emanuele II; Tutto questo é raccontato dalla storiografia Ufficiale, che invece omette di precisare che tali eventi significarono non la rinascita ma la distruzione del meridione, con la presa di potere da parte di mafiosi e camorristi che lo stato sabaudo utilizzava per avere il controllo sul territorio, non lesinando loro incarichi prefettizi e di polizia, che la guerra appena condotta non era affatto una guerra di liberazione ma di conquista e sopraffazione come ci raccontano gli eventi appena dopo questi fatti, come la distruzione di poveri paesi contadini come Pontelandolfo e Casalduni, dove i bersaglieri fecero carne di porco, violentarono donne e trucidarono donne e bambini poi incendiarono e rasero al suolo i paesi. E questi non furono i soli ,bombardarono e distrussero Mola di Gaeta, fucilavano contadini senza processo con la scusa della lotta al brigantaggio ed il tutto in esecuzione degli ordini del Generale Piemontese Cialdini a cui ancora oggi sono intitolate, con grande vergogna da parte di chi conosce la storia, strade e piazze .I piemontesi loro la guerra la vinsero e dunque poterono commettere tali scempi senza essere condannati commettendo esattamente le stesse atrocità di cui i Nazisti si macchiarono a Marzabotto. Poterono esercitare il diritto di saccheggio delle città Meridionali come i Lanzichenecchi a Roma, e in nome dell’Unità d’Italia poterono stuprare le donne dei contadini.

Intorno a quel fatidico 1861 si andava affermando l’idea di “nazione italiana” in base alla quale idea, il Regno dei Borbone rappresentava una terra abitata da “esseri primitivi” … e che si dovesse operare chirurgicamente nel territorio, “contro” il meridione, che in quell’ottica (razzista) rappresentava una “negazione vivente”, un regresso o “piaga sociale” che necessitava di essere corretta e moralizzata, con una speciale “medicina” offerta dai “liberatori” ” In questo teatrino inventato appositamente (per scrollarsi i debiti che il Regno di Sardegna aveva contratto con Francia ed Inghilterra), la “lotta al brigantaggio“, divenne il verbo per la liberazione dal malessere meridionale. Dal 1861 questa è stata la versione diffusa in ogni testo scolastico, La lotta ai Briganti; Chi erano costoro? La storiografia ufficiale li descrive come briganti e tagliagole, gli studiosi più attenti sanno che erano , almeno in questo periodo storico, invece ,partigiani del governo legittimo di due Sicilia e nelle loro file si trovano i contadini spogliati delle loro terre, gli uomini di quelle donne violentate dai bersaglieri piemontesi del generale Cialdini, degno progenitore di Kappler (onta su di loro e su chi nasconde la verità), soldati dell’esercito borbonico, guidati da sottufficiali e Ufficiali, e molti entrati a far parte delle leggende popolari del meridione:Ninco Nanco Carmine crocco, Michelina de Cesare .

Ecco cosa dicevano del Brigantaggio i padri Gesuiti della “Civiltà Cattolica”: «Questo che voi chiamate con nome ingiurioso di Brigantaggio non è che una vera reazione dell’oppresso contro l’oppressore, della vittima contro il carnefice, del derubato contro il ladro, in una parola del diritto contro l’iniquità. L’idea che muove cotesta reazione è l’idea politica, morale e religiosa della giustizia, della proprietà, della libertà».

Quanto raccontato per dire che L’Unità d’Italia non si ottenne senza sangue e sofferenza ma fu una vera guerra di colonizzazione che spogliò, il meridione di tutte le sue ricchezze che furono trasferite al nord ed in questo preciso istante nacque la questione meridionale con la quale si indica quel processo di povertà disoccupazione e miseria che investi la gente del sud colonizzata dai Piemontesi e dominata dai camorristi di cui ancora oggi se ne pagano le conseguenze. Ho raccontato queste cose perché non è attraverso la menzogne che si costruisce una nazione e il futuro dei nostri giovani, ma attraverso la storia e la verità e vorrei concludere citando le parole che Francesco II di Borbone disse ai suoi ministri nel momento del Congedo: Io sono napoletano, né potrei senza grave rammarico dirigere parole di addio ai miei amatissimi popoli, ai miei compatrioti. Qualunque sarà il suo destino, prospero o avverso, serberò sempre per essi forti e amorevoli rimembranze. Raccomando loro la concordia, la pace, la santità dei doveri cittadini

palazzo reale di Napoli

Palazzo reale di Caserta e quello di…….

Torino

L’unification de l’Italie vue par un révolutionnaire napolitain.

L’historiographie officielle écrite par les Risorgimentalistes qui ont finalement gagné la guerre et eu le droit de parler, nous a toujours racconté d’une guerre de libération menée par le Royaume de Sardaigne contre les Bourbons de Naples pour la libération de leur peuple esclave, pauvre et soumis.

Il est évident que les historiens d’État disent leur vérité qui ne correspond pas toujours à la réalité qui nous montre comment des faits malheureux se sont produits au cours de ces événements qui valent la peine d’être connus. Pour commencer, l’idée de l’Italie “Unita” a ses racines dans le mouvement politique “appelé le Risorgimento” un mouvement idéologique et littéraire qui culminera, en 1861, avec l’unification de l’Italie. Il s’agit en fait d’un mouvement complexe, aux âmes multiples, que les historiens ont interprété de différentes manières. Le Risorgimento est le résultat de l’activité de nombreux politiciens, penseurs, conspirateurs et patriotes. Tout le monde n’aspirait pas au même but : quelqu’un imaginait une Italie républicaine, quelqu’un une confédération d’États unis sous l’autorité du pape, à la fin l’unification de l’Italie suivra la voie d’une monarchie libérale, celle de la Maison de Savoie pour des raisons contingentes, dues aux intérêts économiques et politiques d’États comme la France et la Grande-Bretagne, surtout, et à la défaite des Autrichiens contre la coalition Vittorio Emanuele II / Napoléon III qui, vers 1860, provoqua d’importants changements territoriaux plaçant la Vénétie et la Lombardie sous le dominion du Royaume de Sardaigne qui en échange donna le Duché de Nice à Napoléon III.

L’éventualité était donc en faveur de Vittorio Emanuele tentant également d’annexer le Royaume des Deux-Siciles après la Lombardie et la Vénétie, même si ,en dessous, les Français auraient voulu leur propre prince (le dernier descendant de la maison Murat).

De fait, l’annexion du royaume de Naples représentait une grande affaire pour les aspirants libérateurs, qu’ils soient français anglais ou sardes/piémontais.En 1860 la population du royaume des Deux-Siciles était d’un peu plus de 9 millions d’habitants. être considéré dans le domaine économique en premier lieu en Italie et troisième en Europe.
La monnaie circulant dans les Deux-Siciles était égale à 443,2 millions de lires, soit plus du double de celle de toutes les autres pièces circulant dans la péninsule italienne.
Pour faire une comparaison, on peut considérer que le Piémont ne possédait que 20 millions de lires.
Cela avait été le résultat de lois prévoyantes qui avaient réglementé les importations et les exportations dans le but précis de favoriser la naissance de l’industrie, en dosant de manière appropriée les droits de douane et les mesures fiscales.
En effet, depuis 1818, l’industrie textile (soie, coton et laine) et l’industrie mécanique étaient les deux principaux secteurs moteurs de l’économie des deux Sicile, à tel point que de nombreux étrangers trouvèrent opportun d’investir dans le Royaume.

Usine de soie a San Leucio Caserta

Le revenu par habitant était presque égal à la moyenne italienne, pour un total de 275 millions de ducats par an.
En ce qui concerne la vie économique, il faut dire que les prix étaient extrêmement stables et que le gouvernement veillait toujours à assurer à la fois une activité productive rentable et des salaires adaptés au contexte socio-économique.
L’émigration était très rare, car le chômage était très limité.

Le secteur agricole a donné un excédent de ressources alimentaires qui étaient donc disponibles à la fois pour le travail industriel et pour l’augmentation de la population.
En parlant d’agriculture, il faut dire que l’histoire d’un propriétaire terrien du Sud avec les Bourbons est un conte de fées.
Les grands domaines du Sud se sont formés avec l’arrivée des Piémontais, qui ont vendu à leurs collaborateurs toutes les terres domaniales volées aux paysans qui les utilisaient à des fins civiques depuis des centaines d’années. La CAMPANIE en 1860 était la région la plus industrialisée d’Europe, en particulier la région napolitaine, le long de l’axe Caserte – Salerne.
Il y avait à la fois le grandiose Opificio di Pietrarsa où étaient produits des moteurs à vapeur, des locomotives, des wagons et des voies ferrées, et les célèbres chantiers navals parmi les meilleurs d’Europe, des usines d’armes et d’outils, chimiques – pharmaceutiques et la production de papier, verre, tannage et le cuir, l’alimentation, la céramique et les matériaux de construction.

La production de soie de S. Leucio était prestigieuse.
Il existe également de nombreuses usines d’instruments techniques, de montres, de balances, et bref toute une myriade d’usines plus petites, dans les domaines d’activité les plus variés, réparties géographiquement sur tout le territoire.Le Royaume, dans ces années-là, avait donc une économie forte, avec une monnaie stable et solide, mais il n’avait pas une armée forte

Le 1er ministre du Royaume de Sardaigne était Camillo Benso comte de Cavour. Le mysticisme du Risorgimento nous a habitués à considérer Cavour comme le père du Risorgimento, un génie de la politique. En fait, en tant que franc-maçon, il n’était pas indifférent, comme Garibaldi, aux influences maçonniques anglaises (et il n’y a rien de mal à être franc-maçon), mais la plupart de ses décisions n’étaient rien de plus que des exécutions des “suggestions” orchestrées par Londres. L’Angleterre, en ce qui concerne la Méditerranée en particulier, a poursuivi sa propre stratégie politique complexe qui s’est développée en plusieurs phases. Elle a commencé par la prise de Gibraltar et, en 1800, de Malte, qui appartenait aux Deux-Siciles, profitant des troubles provoqués par les guerres de Napoléon. Puis, vers 1850, en prévision de l’ouverture du canal de Suez, il lui devient indispensable de dominer la Méditerranée afin de pouvoir se connecter facilement avec ses colonies. Pour cette raison, ses principaux objectifs étaient l’élimination de la Russie de la Méditerranée, contre laquelle il déchaîna la guerre de Crimée victorieuse en 1853, et la réduction de l’influence politique de la France en Méditerranée. Le facteur déterminant qui a poussé l’Angleterre à initier les changements dans la structure politique de la péninsule italienne ont été les accords commerciaux entre les Deux-Siciles et l’Empire russe, qui avait commencé à naviguer sa flotte en Méditerranée, ayant comme base de Je soutiens le ports des Deux-Siciles. La France, à son tour, a voulu renforcer son influence sur la péninsule italienne, à la fois avec son protectorat sur l’État pontifical, et avec son propre projet de placer un prince français aux Deux-Siciles.

Pour atteindre ces objectifs, les deux puissances utilisèrent le petit État savoyard qui, n’ayant pas de ressources économiques et militaires pour mener ses guerres, devait vendre Nice et la Savoie à la France, et s’apprêtait à vendre aussi la Sardaigne s’il n’était pas arrêté de l’Angleterre qui craignait une domination plus forte de la France dans le bassin méditerranéen. En fait, dans le Piémont, le système social et économique était très pauvre. Il n’y avait que quelques caisses d’épargne et les institutions les plus actives étaient les Monti di Pietà. Bref, il n’y avait que de petites banques et des banquiers privés, généralement d’origine étrangère, qui assuraient l’échange des pièces vers le petit marché piémontais. En Lombardie, il n’y avait pas de banque émettrice et les activités commerciales n’ont pu se poursuivre que parce que la banque autrichienne fonctionnait. Et tout cela seul devrait faire comprendre qu’avant l’invasion du Sud, il ne pouvait y avoir de véritables industries dans le Nord, ni beaucoup de commerce, ni ses habitants riches et évolués, comme l’affirme l’historiographie officielle. Pour le Piémont, donc, le problème le plus urgent était d’éviter l’effondrement économique, compte tenu de son budget désastreux, et le seul moyen d’en sortir était celui que lui offraient l’Angleterre et la France, qui lui promettaient leur soutien à l’annexion des territoires prospères et riches des Deux-Siciles et des autres petits États de la péninsule italienne

Dans ce contexte, avec le soutien actif des Anglais et le plus subtil des Français, il y eut le débarquement en Sicile de Garibaldi qui, remontant la péninsule, entra à Naples le 7 septembre 1861 et le 26 octobre 1860 il rencontra à Teano , sur le fleuve Volturno, avec l’armée de Vittorio Emanuele II; Tout cela est raconté par l’historiographie officielle, qui omet au contraire de préciser que ces événements signifiaient non pas la renaissance mais la destruction du sud, avec la prise du pouvoir par la mafia et la Camorra que l’État savoyard contrôlait autrefois le territoire, n’épargnant pas leurs fonctions préfectorales et policières, que la guerre qui vient d’être menée n’était pas du tout une guerre de libération mais de conquête et d’oppression comme nous le disent les événements qui ont suivi ces événements, comme la destruction de villages paysans pauvres comme Pontelandolfo et Casalduni, où les Bersaglieri ils ont fait du porc, violé des femmes et massacré des femmes et des enfants, puis brûlé et rasé les villages. Et ce n’étaient pas les seuls, ils ont bombardé et détruit Mola di Gaeta, ils ont fusillé des paysans sans procès sous prétexte de la lutte contre le banditisme et le tout en exécution des ordres du général piémontais Cialdini à qui ils portent encore aujourd’hui le nom, avec grande honte de la part de ceux qui connaissent l’histoire, les rues et les places.

Les Piémontais ont gagné la guerre et ont donc pu commettre de tels ravages sans être condamnés en commettant exactement les mêmes atrocités que les nazis ont commises à Marzabotto. Ils ont pu exercer le droit de piller les villes du sud comme les Lanzichenecchi à Rome, et au nom de l’unification de l’Italie, ils ont pu violer les paysannes. Autour de ce fatidique 1861 s’affirmait l’idée d’une “nation italienne” sur la base de laquelle l’idée, le Royaume des Bourbons représentait une terre habitée par des “êtres primitifs”… et qu’il fallait opérer chirurgicalement dans le territoire, “contre” le sud, qui dans cette perspective (raciste) représentait une “négation vivante”, une régression ou un “fléau social” qu’il fallait corriger et moraliser, avec un “médicament” spécial offert par les “libérateurs » « Dans ce petit théâtre inventé spécialement (pour secouer les dettes que le Royaume de Sardaigne avait contractées avec la France et l’Angleterre), la « lutte contre le banditisme », devint le mot de libération du malaise méridional. Depuis 1861, c’est la version répandue dans tous les manuels scolaires, La lutte contre les brigands ; Qui étaient-ils? L’historiographie officielle les décrit comme des brigands et des égorgeurs, les érudits les plus attentifs savent qu’ils étaient, au moins dans cette période historique, plutôt des partisans du gouvernement légitime des deux Sicile et dans leurs rangs il y a les paysans dépouillés de leurs terres, les hommes de ces femmes violées par les bersaglieri piémontais du général Cialdini, digne géniteur de Kappler (onte sur eux et sur ceux qui cachent la vérité), soldats de l’armée des Bourbons, dirigés par des sous-officiers et des officiers, et beaucoup qui sont devenus partie des légendes populaires du sud : Ninco Nanco Carmine crocco, Michelina de Cesare.

Voici ce que disaient les pères jésuites de la « Civiltà Cattolica » à propos du brigandage : « Ce que vous appelez du nom insultant de brigandage n’est rien d’autre qu’une véritable réaction de l’opprimé contre l’oppresseur, de la victime contre le bourreau, du volé contre le voleur, en un mot de la loi contre l’iniquité. L’idée qui anime cette réaction est l’idée politique, morale et religieuse de justice, de propriété, de liberté”.

Ce qui a été dit pour dire que l’unification de l’Italie ne s’est pas obtenue sans sang et sans souffrance mais ce fut une véritable guerre de colonisation qui a dépouillé le sud de toutes ses richesses qui ont été transférées au nord et à ce moment précis la question du sud est née avec ce qui indique ce processus de pauvreté, de chômage et de misère qui affecte les peuples du sud colonisés par les Piémontais et dominés par la Camorra, dont les conséquences se font encore payer aujourd’hui. J’ai dit ces choses parce que ce n’est pas par le mensonge que se construisent une nation et l’avenir de nos jeunes, mais par l’histoire et la vérité et je voudrais conclure en citant les paroles que François II de Bourbon a dites à ses ministres lors du moment de son départ: je suis napolitain, et je ne pourrais sans regret adresser des mots d’adieu à mes peuples bien-aimés, à mes compatriotes. Quel que soit leur destin, prospère ou adverse, je garderai toujours pour eux des souvenirs forts et affectueux. Je leur recommande l’harmonie, la paix, le caractère sacré des devoirs citoyens.

Michele Cioce, l’anima dell’associazione Italia Bretagna.

Quando decidemmo, di installarci in Bretagna, spinti da un desiderio libertà e simbiosi con la natura, la prima cosa che ci venne in mente fu quella di ricercare delle persone, delle associazioni che ci potessero dare dei consigli; per puro caso, nel corso della mia navigazione tra i meandri, le trappole ed i trucchi della rete, capitammo sul sito dell’amicale Italia Bretagna, a cui ci rivolgemmo per una forma di sostegno o assistenza morale, forse un incoraggiamento subliminale che ci permettesse di lasciare quello che per noi era il noto, cioè la confusione, lo stress, la diffidenza di Mentone, per l’ignoto che speravamo fosse la tranquillità, la calma , l’accoglienza Bretone. Dopo neppure due ore la mia richiesta di informazioni, la sera stessa, mi telefonò Michele, il “presidentissimo”, che rassicurandoci ci diede appuntamento in Bretagna; Lo incontrammo la prima volta alla stazione di Quimper dove venne ad accoglierci con il suo Fiat ducato dipinto con i colori della sua impresa edilizia e addobbato con i gadget della squadra di calcio, di cui era ed é l’anima, che ha chiamato Italia Quimper e si fa onore nel campionato Regionale Bretone.

Michele Cioce, un uomo grande e grosso in apparenza burbero, ma con un cuore d’oro come lo hanno gli Italiani del Sud. Michele non é un emigrante , ma un cittadino Italiano di nazionalità Barese, che risiede a Quimper per amore di una Bretone da cui ha avuto tre figliole, rigorosamente con passaporto Italiano, che a loro volta gli hanno dato, almeno fino ad ora, sei nipotini, anch’essi con passaporto e nomi Italici.

Michele con la figlia Morgana sono l’anima dell’associazione, non trascurano nessun evento che possa far conoscere la cultura e le capacità Italiane in Francia, organizzando corsi di lingua, attività musicali, teatrali, promuovendo incontri con personaggi di rilievo e guidando la squadra di calcio che accoglie giovani da 12 in su che porta il nome della sua Patria ed i colori azzurri della Nazionale.

Michele non é un’emigrante, é l’ambasciatore d’Italia in Bretagna.

Grazie Michele grazie amico mio.

Michèle Cioce, l’âme de l’association Italie-Bretagne.
Lorsque nous avons décidé de nous installer en Bretagne, poussés par une envie de liberté et de symbiose avec la nature, la première chose qui nous est venue à l’esprit a été de chercher des personnes, des associations qui pourraient nous conseiller ; par pur hasard, lors de ma navigation parmi les méandres, pièges et ruses du net, nous sommes tombés sur le site de l’amicale Italie Bretagne, vers laquelle nous nous sommes tournés pour une forme de soutien moral ou d’assistance, peut-être un encouragement subliminal qui nous permettrait quitter ce qui pour nous était le connu, c’est-à-dire la confusion, le stress, la méfiance de Menton, pour l’inconnu que nous espérions être la tranquillité, le calme, l’accueil breton. Moins de deux heures après ma demande d’information, le soir même, Michèle, la « presidentissimo », me téléphone, nous rassure et nous donne rendez-vous en Bretagne ; Nous l’avons rencontré pour la première fois à la gare de Quimper où il est venu nous accueillir avec son Fiat ducato peint aux couleurs de son entreprise de construction et décoré des gadgets de l’équipe de foot, dont il était et est l’âme, qu’il à appelé Italia Quimper et est honoré dans le championnat régional breton.
Michèle Cioce, un grand homme d’apparence bourrue, mais au cœur d’or comme en ont les Italiens du Sud. Michèle n’est pas une émigrée, mais une citoyenne italienne de nationalité Bari, qui vit à Quimper par amour d’un Breton avec qui il avait trois filles, strictement avec des passeports italiens, qui à leur tour lui ont donné, au moins jusqu’à présent, six petits-enfants, également avec des passeports et des noms en italique.

Michele avec sa fille Morgana sont l’âme de l’association, ils ne négligent aucun événement pouvant faire connaître la culture et les compétences italiennes en France, organisant des cours de langue, des activités musicales et théâtrales, favorisant les rencontres avec des personnalités éminentes et guidant l’équipe de football qui accueille des jeunes à partir de 12 ans qui porte le nom de son pays natal et les couleurs bleues de l’équipe nationale. Michèl n’est pas une émigré, lui est l’ambassadeur d’Italie en Bretagne.

Merci mon ami.

ICHNUSA l’isola dell’anima.

L’âme est un état d’être et Ichnusa a représenté l’état de mon âme pendant toutes les années que j’y ai passées : tranquillité, sérénité, chaleur, amitié, et maintenant que je l’ai quittée, la nostalgie m’étreint chaque fois que je regarde vers le sud, vers ma chère Sardaigne ou, pour les anciens, vers Ichnusa.

Ichnusa, l’empreinte de Jupiter (du grec Ιχνθσσα, empreinte) car la légende veut qu’elle ait été créé par Zeus écrasant des pierres sous la plante de son pied, donnant à l’île sa forme actuelle.

Vivre en Sardaigne signifie être en symbiose avec cette terre, connaître ses origines, son histoire, ses habitants, la respecter, ne pas défigurer sa nature, ses côtes et sa mer, mais en faire partie.

L’histoire de la Sardaigne est encore mystérieuse, riche en constructions néolithiques, très proches de celles des Pitii, un peuple protoceltique d’Écosse, qui partageait avec les Sardes d’il y a 2000 ans, de nombreuses liturgies, dont la structure matriarcale de la société : le Menhir, le Dolmen et surtout ces tours circulaires connues en Sardaigne sous le nom de Nuragi et en Pitia (l’actuelle Écosse) sous le nom de Dan ou Broch ; en outre, dans la langue des Pitii, qui n’est en aucun cas une langue indo-européenne, le terme SARDAN indique une tour sur l’eau courante.

craigh na dun en Ecosse
Tombes des géants à Arzachena

Les Pitii arrivèrent en Sardaigne par la mer et prirent possession de cette terre : ils l’habitèrent, la colonisèrent, y vécurent, commencèrent à introduire certaines des traditions de leur lointaine patrie, l’élevage du bétail, de nouveaux instruments de musique jusqu’à ce que, enfants de l’âge du bronze, ils soient submergés par les peuples de la mer, féroces et déterminés, qui, vers 1300 avant J.-C., avec leurs armes de fer, commencèrent à y vivre. Ces populations,, avec leurs armes en fer, même s’ils étaient de plus petite taille, ont écrasé et remplacé les Pitii qui, en tant que mercenaires, et connus sous le nom de Sardhana, avaient également servi dans la garde royale des pharaons d’Égypte ; Et que les Protosardi étaient de plus grande taille que les Sardes de l’âge classique est bien démontré par les dimensions des espaces internes des Nuraghi, en particulier celui de Barumini. Les premiers à arriver en Sardaigne, parmi les peuples de la mer, furent les Phéniciens, qui débarquèrent à une quinzaine de kilomètres au sud de Cagliari, à Nora, qui devint une ville phénicienne, comme en témoigne la stèle retrouvée sur place

Broch ou Dan Ecossai.
Nuraghe Sarde

Après les Phéniciens, il y eut les Carthaginois qui, sous la direction du général Amsicora, Sarde de naissance, s’opposèrent de toutes leurs forces à la conquête romaine, sans y parvenir, et firent partie de l’Empire romain jusqu’en 470 après J.-C., date à laquelle ils furent envahis par les Vandales d’Afrique, qui régnèrent pendant environ 80 ans jusqu’à ce que Justinien et Bélisaire la réunissent à l’Empire romain d’Orient.

Avec le début de l’expansion islamique, vers 700, et l’occupation de la Sicile par les Arabes, les contacts avec Byzance deviennent difficiles et les Sardes se retrouvent isolés et à la merci des raids barbares. Il fallut donc faire de la nécessité une vertu, et les fonctionnaires byzantins présents sur l’île s’organisèrent de manière autonome, créant quatre Etatsj indépendantes (Giudicati) sur l’île (Cagliari, Arborea, Logudoro et Gallura) régies par des juges (iudikes), fonctionnaires royaux byzantins expérimentés, organisés administrativement et socialement de manière autonome.

Au début du Moyen Âge et vu l’intérêt que portent à la Sardaigne les puissantes républiques maritimes de Gênes et de Pise, les Giudicati finissent par perdre leur autonomie et la Sardaigne suit le sort de l’Europe dans son ensemble et de la République de Gênes jusqu’au nouvel ordre post-napoléonien avec la cession de l’île aux Savoie, qui deviennent les rois de Sardaigne. Le reste est de l’actualité ou presque.

Instruments Sardes d’àrigin écossais Launeddas.



ICHNUSA l’isola dell’anima.

L’anima è uno stato dell’essere e Ichnusa ha rappresentato per tutti gli anni che io ci ho passato lo stato della mia anima: tranquillità, serenità, calore, amicizia, ed ora che l’ho lasciata la nostalgia mi abbraccia ogni qualvoltaa rivolgo lo sguardo verso sud , verso la mia adorata Sardegna o, per gli antichi, Ichnusa.

Ichnusa, l’orma di Giove (dal greco Ιχνθσσα, orma) perchè narra la leggenda che essa fu creata Zeus che schiaccio’ delle pietre sotto la pianta del suo piede dando all’isola l’attuale forma.

Vivere la Sardegna vuol dire essere in simbiosi con questa terra, conoscere le sue origini, la sua storia, la sua gente, rispettarla, non deturpando, la natura,le sue coste e il suo mare ma essere parte di essa.

La storia della Sardegna resta ancora misteriosa, ricca di costruzioni neolitiche, molto prossime a quelle dei Pitii, popolo protoceltico della Scozia, che condivideva con i sardi di 2000 anni fa, molte liturgie,tra cui la struttura matriarcale della Società: i Menhir i Dolmen e sopratutto quelle torri circolari note in Sardegna come Nuragi e in Pitia (l’attuale Scozia) come dan o Broch; inoltre nella lingua dei Pitii che non è assolutamente una lingua Indoeuropea il termine SARDAN indica torre sull’acqua che scorre

nuraghe sardo

Broch o Dan scozzese.

tomba dei giganti nei pressi di Arzachena

craigh na dun in Scozia

I Pitii in Sardegna arrivarono via mare, e presero possesso di quella terra: l’abitarono, la colonizzarono, la vissero, iniziarono ad introdurre alcune tradizioni della loro terra lontana, l’allevamento del bestiame , nuovi strumenti musicali fino a quando, essi figli dell’età del bronzo, non furono sopraffatti dai feroci e determinati popoli del mare che attorno al 1300 a.C, con le loro armi in ferro, anche se più piccoli di statura, sopraffecero e sostituirono i Pitii i quali, come mercenari, e noti come Sardhana, avevano servito anche nella guardia reale dei Faraoni d’Egitto; E che i protosardi fossero di corporatura piu grande dei Sardi dell’età classica è ben dimostrato dalle dimensioni degli spazi interni dei Nuraghi, sopratutto da quello di Barumini. I primi ad arrivare in Sardegna , fra i popoli del mare, furono i Fenici che sbarcarono a una quindicina di Km a sud di Cagliari, a Nora, che divenne città fenicia come dimostrata dalla stele ivi ritrovata.

STELE DI NORA

Dopo,i fenici ci furono i Cartaginesi che alla guida dal generale Amsicora, Sardo di nascita si opposero con tutte le forze alla conquista Romana, senza riuscirci e rimasero parte dell’impero Romano, fino al 470 dc; quando subirono l’invasione da parte dei Vandali d’Africa che regnarono per circa 80 anni fino a quando Giustiniano e Belisario non la riunirono all’impero Romano d’oriente.

Con l’inizio dell’espansione Islamica, verso il 700, e con l’occupazione della Sicilia da parte degli Arabi, divennero difficili i contatti con Bisanzio ed i Sardi si trovarono isolati e alla mercé delle scorrerie barbaresche. Fu dunque fatta di necessità virtú, ed i funzionari bizantini presenti nell’isola si organizzarono autonomamente, creando nell’isola quattro giudicati indipendenti,(Cagliari, Arborea, Logudoro e Gallura) governati da Giudici (iudikes), esperti funzionari regi bizantini, organizzati amministrativamente e socialmente in modo autonomo.

Nell’alto medioevo e con l’interesse per la Sardegna delle potenti repubbliche marinare di Genova e Pisa i Giudicati finirono per perdere la loro autonomia e la Sardegna segui le sorti dell’Europa intera e della repubblica di Genova sino al nuovo ordine post Napoleonica con l’assegnazione dell’ Isola ai Savoia che divennero i re di Sardegna. Il resto é attualità o quasi.

Launeddas e cornamuse sarde

Superleague ou Charabia

Cela fait quelques jours que tout et le contraire de tout s’est produit, que des hurlements et des miaulements se sont élevés de chaires improvisées, maintenant que le jeu est presque terminé (parce qu’il ne l’est pas encore) il est peut-être possible d’avoir un aperçu plus clair des événements.

Se remplir la bouche du mot sport et du mérite sportif est peut-être trop pour la planète football, qui depuis Blatter et Platini s’est orientée de plus en plus vers le profit et les affaires, permettant à des fonds d’investissement, à des holdings américains, chinois, arabes et russes d’entrer sur la planète football, certains avec l’intention de garantir d’importants retours économiques à leurs actionnaires, d’autres pour conquérir d’importants marchés, d’autres pour chercher des ouvertures politiques, d’autres simplement pour recycler le produit d’une richesse pas vraiment transparente. Il est clair que les mécènes n’existent plus, aujourd’hui on verrait avec compassion des gens comme Viola, Ferlaino, Moratti, Rozzi, Berlusconi lui-même, et bien d’autres, des propriétaires de clubs qui ont investi leur passion dans des clubs pour souvent réaliser leurs ambitions narcissiques mais sans avoir de réels retours économiques.

Dans ce contexte, n’étant plus des passionnés ou des mécènes, mais simplement des structures commerciales, les différentes propriétés ont pour objectif premier les profits, effondrés de façon dramatique en raison de la crise sanitaire et du manque de capacité d’innovation des associations qui se targuent du monopole de l’organisation des événements et qui, comme tous les monopoles, ont profité, usé et abusé de leurs clients (les clubs de football) avec des politiques démagogiques et hypocrites, tendant à attirer la sympathie du consommateur par l’organisation de foires de pays (Nation League, UEFA Cup, Grandfather’s Cup) dans lesquelles il peut y avoir des matchs entre l’Allemagne et Saint-Marin, entre le Real Madrid et l’Apoel Nicosia, qui n’ont rien de spectaculaire, et puisque le football aujourd’hui est avant tout une industrie du spectacle et du divertissement, il est nécessaire d’attirer l’intérêt des utilisateurs finaux par de grands événements qui peuvent être bien organisés par une confindustria du football et non par une coopérative de pays présidée par le châtelain du pays (UEFA). On doit au châtelain de service, ébloui par les pétrodollars, si la prochaine Coupe du monde aura lieu au Qatar en 2022, à la période de Noël (pour éviter les 50 degrés à l’ombre en juin). En outre, on ne voit pas comment, dans une Europe de marché libre, l’organisation d’événements sportifs peut être empêchée par des organismes extérieurs à l’UEFA qui, dans un régime de marché libre, ne peut avoir le monopole du parrainage d’événements sportifs, ni empêcher les clubs d’être des entrepreneurs, conformément aux règles économiques européennes. On ne peut s’empêcher de sourire devant la menace de la FIGC d’exclure des championnats les clubs promoteurs de la super ligue qui, par coïncidence, sont la Juve, le Milan et l’Inter, qui à eux seuls valent 50% de toute la Serie A.

A la fin de l’histoire, je me demande si, dans un monde du football professionnel organisé en société par actions, où la finalité de l’entreprise est économique, et ou 80% des clubs sont surendettés, les clubs de football de Serie A peuvent sérieusement renoncer à l’apport économique en termes de chiffre d’affaires de Milan, de la Juve et de l’Inter, ou si leurs protestations ne ressemblent pas plutôt aux aboiements d’une meute de chiens empêchés d’atteindre un os.

Certaines personnes bien-pensantes objecteront que cela rend les riches plus riches et les pauvres plus pauvres, mais elles oublient que nous vivons dans une société capitaliste.

En rugby, la super ligue existe depuis des années (Top 14), de même qu’en basket-ball et aucun hurlement ne s’est jamais élevé vers le ciel. Il est normal que les fédérations nationales et l’UEFA fassent tout ce qu’elles peuvent pour empêcher la naissance d’une nouvelle entreprise concurrente (la super ligue) qui aurait un impact négatif sur leur chiffre d’affaires, mais les entreprises (source : football et finance) qui étaient endettées au 30 juin de l’année dernière, comme l’Inter pour 245 millions, la Juve pour 385 millions, Milan pour 103 millions et la Roma elle-même (hors projet pour le moment) pour 300 millions, ne renonceront pas si facilement à leur initiative, surtout si elle est, comme il semble, source de richesse. Non, le jeu n’est pas terminé, nous allons voir de bonnes choses.

SUPERLEAGUE OR Senseless talk

A few days have passed since everything and the opposite of everything has happened, since howls and meows have been raised from improvised pulpits, now with the game almost over (because it is not over yet) it is perhaps possible to have a clearer outline of the events.

Filling one’s mouth with the word “sport” and “sporting merit” is perhaps too much for the planet of soccer, which from Blatter and Platini onwards has been increasingly oriented towards profit and business, allowing investment funds, American, Chinese, Arab and Russian holdings to enter the football planet, some with the intention of guaranteeing important economic returns for their shareholders, others to conquer important markets, others to seek political openings, others simply to recycle the product of not exactly transparent wealth. It is evident that patrons of the arts no longer exist. Today, people such as Viola, Ferlaino, Moratti, Rozzi, Berlusconi himself, and many others, would be looked upon with compassion, owners of clubs who invested their passion in the clubs in order to realize their narcissistic ambitions without having real economic returns.

In this context, no longer passionate or patrons, but simply business structures, the various properties have as their primary objective the profits, collapsed dramatically due to the health crisis and lack of innovative capacity of the associations that boast the monopoly of the organization of events and that like all monopolists have profited, used and abused their customers (football clubs) with demagogic and hypocritical policies, tending to attract the sympathies of the consumer through the organization of country fairs (Nation League, UEFA Cup, Grandfather’s Cup) in which matches between Germany and San Marino, between Real Madrid and Apoel of Nicosia can be expected to have nothing spectacular and since today soccer is above all the entertainment industry, it is necessary to attract the interest of end users through major events that can be well organized by a confederation of football and not by a cooperative country chaired by the squire of the country (UEFA). We owe it to the country squire on duty, dazzled by petrodollars, if the next World Championships will be held in Qatar in 2022 at Christmas time, (to avoid the 50 degrees in the shade of June). In addition, it is hard to see how, in a free market Europe, the organization of sporting events can be legitimately prevented by bodies outside UEFA which, in a free market regime, cannot have a monopoly on the sponsorship of sporting events, nor prevent clubs from being entrepreneurs, in accordance with European economic norms. We can’t help but smile at the FIGC’s threat to exclude from the championships the clubs promoting the super league that, coincidentally, are Juve, Milan and Inter, which alone are worth 50% of the entire Serie A.

At the end of the story, I wonder if in a world of professional soccer organized by joint stock companies, where the corporate purpose is economic, and where 80% of companies suffer from over-indebtedness, Serie A football clubs can seriously give up the economic contribution in terms of turnover of Milan, Juventus and Inter, or rather their protests do not resemble the barking of a pack of dogs prevented from reaching a bone.

Some well-thinking people will object that in this way the rich get richer and the poor get poorer, but they forget that we live in a capitalist society.

In rugby the super league has existed for years (Top 14), as well as in Basketball and no howling has ever risen to the sky. It is normal that the national federations and UEFA do everything possible to prevent the birth of a new competing enterprise (the super league) that would have a negative impact on their turnover, but companies (source: soccer and finance) that were in debt on June 30th last year, such as Inter for 245 million, Juve for 385 million, Milan for 103 million and Roma for 300 million, will not give up their initiative so easily, especially if this will be, as it seems, a source of wealth. No, the game is not over, we will see some good things.

Superlega o supercazzola?

E’ passato qualche giorno da quando è successo tutto e il contrario di tutto, da quando da pulpiti improvvisati si sono levati ululati e miagolii, ora a bocce quasi ferme (perché non è ancora finita) è forse possibile avere un contorno più netto degli avvenimenti.

Riempirsi la bocca con la parola sport e merito sportivo è forse troppo per il pianeta calcio che da Blatter e Platini in poi é stato sempre più orientato verso il profitto e il business consentendo l’accesso nel pianeta football di fondi di investimento, holding americane , cinesi, arabi, russi, chi con l’intento di garantirsi ritorni economici importanti per gli azionisti, chi di conquistarsi mercati importanti, chi di cercare aperture politiche, chi semplicemente per riciclare il prodotto di ricchezze non proprio trasparenti. E’ evidente che i mecenati non esistono più, oggi personaggi come Viola, Ferlaino, Moratti,Rozzi,Berlusconi stesso, e tanti altri, sarebbero visti con compassione, proprietari di club che investivano la loro passione nei club per realizzare spesso loro ambizioni narcisistiche ma senza avere veri ritorni economici .

In tale quadro, non essendo più dei passionali o dei mecenati, ma semplicemente delle strutture d’affari, le varie proprietà hanno come obbiettivo primario i profitti , crollati clamorosamente a causa della crisi sanitaria e della mancata capacità innovativa delle associazioni che vantano il monopolio dell’organizzazione delle manifestazioni e che come tutti i monopolisti hanno profittato, usato ed abusato dei loro clienti, (club calcistici) con politiche demagogiche ed ipocrite, tendenti ad attirarsi le simpatie del consumatore attraverso l’organizzazione di fiere di paese ( Nation league, coppa uefa, coppa del nonno) in cui possono essere previste partite tra Germania e San Marino, tra Real Madrid e Apoel di Nicosia che di spettacolare hanno niente e poiché oggi il calcio è sopratutto industria dello spettacolo e dell’intrattenimento, è necessario richiamare l’interesse degli utenti finali attraverso grandi eventi che possono essere ben organizzati da una confindustria del pallone e non da una cooperativa paesana presieduta dal signorotto di paese (UEFA) . Si deve al signorotto di paese di turno, abbagliato dai petrodollari, se i prossimi Campionati del mondo si svolgeranno in Qatar nel 2022 in periodo natalizio, (per evitare i 50 gradi all’ombra del mese di Giugno) . Inoltre non si vede legittimamente come in un Europa di libero mercato possono essere impedite le organizzazioni di eventi sportivi da parte di organismi esterni alla UEFA che, in un regime di libero mercato, non può avere il monopolio del patrocinio di eventi sportivi, né impedire ai club di essere imprenditori, nel rispetto delle norme economiche Europee. Non può non farci sorridere la minaccia della FIGC di escludere dai campionati i club promotori della superleague che, guarda caso, sono Juve, Milan e Inter che da soli valgono il 50 per cento dell’intera serie A.

Alla fine della storia io mi domando se in un mondo del calcio professionistico organizzato per società per azioni, dove il fine societario è economico, e dove l’80 per cento delle società soffre di sovraindebitamento, i club calcistici della serie A possano seriamente rinunciare all’apporto economico in termini di fatturato di Milan, Juve e Inter o piuttosto le loro proteste non assomiglino piuttosto all’abbaiare di una muta di cani impedita a raggiungere un osso.

Qualche ben pensante obbietterà che in questo modo i ricchi diventano più ricchi e i poveri più poveri , ma dimenticano che noi viviamo in una società capitalista.

Nel rugby la super league esiste da anni ( Top 14°), cosi come nel Basket e nessun ululato si è mai levato al cielo. E’ normale che le Federazioni nazionali e la Uefa facciano di tutto per impedire la nascita di una nuova impresa concorrente (la superleague) che inciderebbe in negativo sui loro fatturati ma società (fonte calcio e finanza) indebitate al 30 giugno scorso come l’Inter per 245 milioni, la Juve per 385 milioni, il Milan per 103 milioni e e la stessa Roma5al di fuori per ora dal progetto),per 300 milioni, non rinunceranno alla loro iniziativa tanto facilmente, sopratutto se questa sarà come sembra, apportatrice di ricchezza. No, la partita non è finita, ne vedremo delle belle.