Ci sono delle situazioni che ti inseguono da sempre da quando nasci e che tu accetti perché è così e basta. Il 25 Aprile di ogni anno da quando sono nato mi hanno detto che era festa poi mi sono accorto che non tutti avevano il cuore gonfio di gioia, come merita una celebrazione, ma qualcuno lo aveva pieno di una malinconia mista a frustrazione causata da scelte diverse, fatte in buona fede, giuste o sbagliate, ma perdenti nei confronti di coloro che volevano festeggiare.
Il 25 Aprile è la celebrazione della Vittoria partigiana, della liberazione dal Fascismo, ma tale movimento era stato appoggiato da molti e la storia ci parla ancora di adunate oceaniche e di gran parte della popolazione che aveva appoggiato tale scelta, per scellerata che essa sia stata, in buona fede e con convinzione; badate, non erano certo gli intellettuali che avevano dalla loro parte una coscienza critica che gli consentiva di discernere la giustezza delle idee, ma il popolo, il terzo stato che era facile convincere con la forza della retorica o romantici passionali che perseguivano miti irrazionali (Il superuomo di Nietscheana memoria).
Tale celebrazione è la vittoria di una guerra civile in un’Italia divisa in due , da un lato l’Italia partigiana dall’altra l’Italia fascista perdente e frustrata, con in un campo, coloro che la vittoria faceva sentire ancora più invincibili, nell’altro quelli a cui la sconfitta apportava un’ umiliazione da cui era difficile riscattarsi.
No una festa cosi non corrisponde al mio ideale, rinominiamola, trasformiamola, non chiamiamola più festa della liberazione ma ribattezziamola festa della nuova unità d’Italia, festa della riconciliazione popolare, prendiamo questa data come momento per riconoscere ognuno il valore degli altri, pentirsi ognuno dei propri eccessi , ricordarsi della storia e del suo insegnamento e attraverso la conoscenza critica del passato preparare un futuro decoroso per i nostri figli.
PT