
Una volta, quando ero più giovane credevo che bisognava guardare sempre avanti e mai voltarsi indietro, oggi invece che già da tempo ho passato la maturità, sentendomi diversamente giovane, sono convinto che per progredire non bisogna mai perdere di vista il passato, l’esperienze e i fatti vissuti; solo così potremmo essere sicuri della strada ancora da percorrere che, anche se ancora ignota la lunghezza e la percorrenza, le difficoltà , le asperità e le insicurezze mitigate dalle conoscenze di una vita, gelosamente custodite dal nostro subconscio, che ci vengono in aiuto in modo inatteso.
E durante uno di questi miei esercizi di nostalgia spirituale, sono ritornato, attraversando lo spazio temporale che si è improvvisamente aperto davanti a me, alla metà degli anni 80, quando giovane Commissario di Bordo sulla nave della Marina Militare Italiana, Ammiraglio Magnaghi, con il giovane tenente di Vascello , eccellente Idrografo e scienziato,Paolo Giannetti, meglio noto come il Comandante Bitta, incrociavamo tra Mazara del Vallo e Pantelleria, alla ricerca reale e non fittizia dell’isola che non c’è; si, l’isola che non c’è quella del Capitano Uncino e Peter Pan, quella di EduardoBennato, od anche di Tommaso Moro che preconizzava di un’isola chiamata Utopia che non sarebbe mai esistita.
–Pasquale, mi disse Paolo, oggi ti porto in un posto straordinario, – lo guardai diffidente perché normalmente i ” vascellonici ipertesi “( come io chiamavo gli ufficiali di vascello) avevano la consuetudine di prendersi gioco dei commissari e normalmente, quando ero libero dagli incarichi di commissariato, ed in navigazione ciò si verificava spesso, mi chiedevano le cose più strane tipo depositare una batteria di 20 Kg a spalla sul faro della Madonna all’isola di Ponza, dopo essermi sobbarcato 300 scalini , o abbandonarmi di guardia, sotto al sole ed in costume da bagno, ad un impianto di geo stazionamento sull’isola disabitata di Zannone da mezzogiorno a mezzanotte o farmi recuperare un impianto radio travolto dalla risacca allo scoglio della Botte, tra Ponza e Palmarola a 10 metri di profondità; Ma questa volta il buon comandante Bitta non si prese gioco di me, ed arrivati a circa 20 miglia a sud di Sciacca, calata l’ancora, mettemmo a mare una imbarcazione idrografica che subito rivelò un fondale di circa 8 metri li dove invece insisteva la batimetrica dei 200 metri. Il mare era azzurro come solo il mare di Sicilia è, trasparente ai riflessi dei raggi solari sulle rocce marine, e completavano la scenografia comlplementi di flora e fauna marina, poseidonie, orate, guarracini, triglie, un paradiso inatteso per gli amanti del mare;-Ecco Pasquale, disse Paolo, questa è l’isola che non c’è ed esiste realmente. Ci trovavamo sopra l’isola Ferdinandea che fu vista spuntare dal mare il 7 luglio 1831, da F. Trefiletti, comandante del Gustavo, tra esplosioni di cenere e lapilli.
Nasceva così l’isola Ferdinandea, così chiamata in seguito, un vulcano sottomarino tutto italiano. La fase iniziale fu estremamente esplosiva, si poteva vedere bene anche dalle coste siciliane, poi quando l’isola cominciò a crescere e il magma si isolò dal mare, le esplosioni terminarono e l’eruzione assunse connotati più tranquilli. In poche settimane la nuova isola si sollevò fino a 65m di altezza e la sua superficie arrivò a 4 chilometri quadrati, una superficie molto simile a quella dell’attuale isola di Procida nel Golfo di Napoli. L’eruzione terminò il 20 Agosto 1831.
Da quel momento in poi comincia una storia tutta diversa, l’isoletta suscitò infatti l’interesse di alcune potenze straniere europee, che nel mar Mediterraneo cercavano punti strategici per gli approdi delle loro flotte, sia mercantili che militari. Il 24 agosto giunse sul posto il capitano Jenhouse, che vi piantò la bandiera britannica, chiamando l’isola “Graham“. Il 26 settembre la Francia, per contrastare l’azione inglese, inviò il brigantino La Fleche che la ribattezzò “Iulia“. Il re Ferdinando II constatando l’interesse internazionale che l’isoletta aveva suscitato, inviò sul posto la corvetta bombardiera Etna al comando del capitano Corrao il quale, sceso sull’isola, piantò la bandiera borbonica battezzando l’isola “Ferdinandea“. Ma a chi apparteneva veramente quel piccolo lembo di terra nato a pochi chilometri dalle coste siciliane?
Ironia della sorta mentre i contendenti ancora litigavano per l’osso ritrovato, così come era venuta fuori dal mare, così, l’isoletta cominciò a inabissarsi finché l’8 Dicembre non scomparve completamente sotto la superficie. In seguito nel 1846 e nel 1863 l’isoletta è riapparsa ancora in superficie, per poi scomparire nuovamente. Con il terremoto del Belice le acque circostanti il banco di Graham furono viste intorbidirsi e ribollire, cosa che venne interpretata come un probabile segnale che l’isola Ferdinandea stesse per riemergere. Così non fu. A scanso di equivoci i siciliani posero sulla superficie del banco sottomarino una targa in pietra, sulla quale si legge: « Questo lembo di terra una volta isola Ferdinandea era e sarà sempre del popolo siciliano. »

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Splendida testimonianza che scoperchia uno dei tanti segreti del mediterraneo. Vuoi per motivi etimologici ma anche personali (ho visitato l’arcipelago delle Galapagos un anno fa), il nome dell’isola sommersa mi ricorda quello di Fernandina un’altra isola “giovane”, disabitata e di origine vulcanica ma che al momento resta fuori dall’acqua. Anche il nome dell’isola ospitante l’unica specie di cormorano incapace di volare, è un omaggio ad una dinastia ma a quella aragonese. Fernandina appartiene al popolo ecuadoregno ma anche un po’ a quei visitatori più o meno ipertesi che vi lasciano un pezzo di sé.
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